La sua cabala è fatta di pochi numeri: 28, 21, 2012. Tre numeri per giocarsi il futuro, la vittoria, la gloria. Le Olimpiadi di Londra, quelle a cui Jeffrey Lawal Balogun vuole partecipare a tutti i costi, da quando il destino l’ha pescato, in mezzo a una strada, e gli ha messo quel tarlo nell’orecchio: sei un campione. Forza, allenati. Corri.
Jeffrey ha 23 anni, corre da sempre. Ma è da poco che corre per vincere, molto in ritardo rispetto agli altri atleti. Inglesi, americani, giamaicani, quelli nati per volare in corsia. Lui è inglese, tre anni fa frequentava il college a Bromley, nel Kent. Era mattina, presto ma non abbastanza. Non voleva arrivare in ritardo a lezione, così ha fatto quel che gli è venuto più naturale: si è messo a correre in mezzo alla strada, per inseguire l’autobus. Il numero 28, il primo della sua cabala. Comincia tutto da lì. Una ragazza lo vede e gli si avvicina: «Tu corri già per qualche team, vero?».
Lì è il tarlo che comincia a scavare, il destino che si affaccia. Tardi, ma meglio che mai. Jeffrey non è mai stato un atleta. «Ho sempre saputo di essere veloce, quello sì» racconta ora ai giornali inglesi che hanno trovato il loro fenomeno, il Forrest Gump di Londra. Il talento scoperto per caso che vuol far sognare con la sua favola. Perché da quel giorno alla fermata dell’autobus Jeffrey comincia a correre davvero. «Non avevo mai pensato di farlo seriamente». Ma quella ragazza, che poi è un’allenatrice e una talent scout, gli rivela quello che forse ha sempre saputo, sotto sotto, o forse solo immaginato: Jeffrey, hai una marcia in più. Non sei come gli altri. Non era solo un’illusione, di quelle da adolescente che sogna di essere un campione, ma poi finisce a fare l’impiegato al catasto.
Il tarlo scartato in passato torna alla riscossa: la ragazza per strada mette Jeffrey in contatto con Clarence Callender, uno degli allenatori più importanti d’Inghilterra. Callender si è costruito la carriera su due binari: militare e velocista, ha vinto un argento alle Olimpiadi di Seul nella staffetta. Poi, dopo il ritiro dalle gare, ha cominciato ad allenare i giovani talenti: quelli che ora vuole preparare per i Giochi di Londra. Li cerca, glieli presentano, li fa sudare e sgobbare duro per cercare prima di qualificarsi e poi di conquistare delle medaglie. Quelle del 2012 non sono Olimpiadi qualsiasi, per Callender: è la vittoria in casa. Bisogna dare tutto.
Per Jeffrey, Callender è la prova: non è come coi suoi compagni di scuola, quelli che ha sempre battuto senza accorgersene. Questa è corsa vera. E il coach è colpito subito, come la sua collega alla fermata dell’autobus. Il numero 28. Quello, nella cabala, è stato il punto d’inizio, ma poi la strada è stata tutta in salita. Per esempio quell’autobus Jeffrey non l’ha mai preso. Si è catapultato, ma l’ha perso lo stesso. Quella volta è stato il destino, ed è stata fortuna: l’incontro che gli ha cambiato la vita. Ma oggi non può succedere più. L’autobus del 2012 non ripassa. Quella fermata, quell’orario e via. Jeffrey ce l’ha stampato in testa, bello chiaro: correre, allenarsi, sudare, faticare. Non smettere, non arrendersi. Come Forrest Gump, è già un idolo, a modo suo.
nche se per ora il suo primo successo è stato nei 60 metri indoor: è sesto nella classifica nazionale. Quello che conta, però, è il tempo sui 100 metri, il terreno degli dei. Jeffrey c’impiega 10 secondi e 65 centesimi, per entrare nel team olimpico deve scendere sotto i 21 centesimi.
È l’ultimo numero della sua cabala, quello che segna la differenza fra sogno e realtà, fra un’occasione persa e una medaglia olimpica. Poi, anche il talento per caso ha un rimorso: «Mi spiace non aver cominciato prima, anni fa». Ma il destino ha giocato i suoi dadi così. E i numeri già usciti, in fondo, non sono da tutti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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