È un caso più unico che raro in Europa che un leader politico vinca le elezioni per tre volte, e non di seguito: Berlusconi ha vinto nel 1994, nel 2001, nel 2008. Ciò dimostra che Berlusconi e Forza Italia sono in modo organico e profondo un pezzo cospicuo del sistema politico italiano.
Qualora Veltroni e il gruppo dirigente del Pd, oltre ad alcuni quotidiani del tutto allineati, avessero letto alcuni libri di autori di sinistra, fortemente critici sull’esperienza del Partito democratico e in alcuni casi anche assai equilibrati nel giudizio su Berlusconi (ad esempio Luca Ricolfi: «Perché siamo antipatici?», Riccardo Illy: «Così perdiamo il Nord», Marco Alfieri: «Nord terra ostile», Raffaele Simone: «Il mostro mite», Aldo Bonomi: «Il rancore», Ferruccio Capelli: «Sinistra light» e, su Roma, Benedetto Marcucci: «Il grande bluff»), forse avrebbe commesso meno errori.
Invece i leader del Partito democratico hanno dato ancora una volta retta a Eugenio Scalfari che, alla vigilia delle elezioni del 13-14 aprile, così scriveva: «Con avversari di questo livello non si può perdere. Gli elettori cominciano a capirlo. Io sono pronto a scommettere».
Dopo le elezioni, almeno alle prime battute, da parte del Pd c’è stata una svolta: fine della demonizzazione e dell’antiberlusconismo, disponibilità ad arrivare a una dialettica normale fra maggioranza ed opposizione. Meglio tardi che mai. In ogni caso Veltroni, per un verso ha subito una fondamentale sconfitta a Roma e per altro verso è andato incontro a un paradossale esito delle elezioni nazionali. Il Pd era stato pensato per aumentare la concorrenzialità nei confronti di Forza Italia sia al centro del sistema politico, sia al Nord. Ora il Pd è stato sconfitto al Nord e non ha sfondato al centro. Al contrario ha contributo a distruggere la Sinistra Arcobaleno, recuperando a sinistra parte dei voti persi al centro a favore dell’Udc.
Per parte sua Casini ha commesso un errore di fondo a partire dall’analisi. Infatti la sua analisi era basata sulla convinzione che era finita la «forza propulsiva» di Berlusconi. È successo esattamente il contrario: Berlusconi ha trainato tutto il centrodestra verso la vittoria. A essa ogni partito ha dato il suo contributo. Forza Italia, sotto la guida di Bondi, si è aggregata e radicata sul territorio, un partito interclassista e pluriculturale che al Nord, insieme alla Lega, ha ottenuto anche la maggioranza del voto operaio e che ha «sfondato» nel centro-sud, insieme ad An. A sua volta An è riuscita a portare a compimento il capolavoro politico di Gianfranco Fini che è stato quello, da Fiuggi ad oggi, di trasformare un «partito della nostalgia» in un partito della destra democratica, disponibile a fondersi con Forza Italia nel Partito del Popolo della libertà che aderisce al Partito popolare europeo.
A sua volta la Lega, al Nord, partendo dalla leadership carismatica di Bossi, è riuscita a inserirsi nel nuovo capitalismo molecolare. Oggi al Nord ci sono un localismo difensivo (rispetto alla globalizzazione e all’immigrazione clandestina) e un localismo dinamico che vede i sindaci leghisti nel cuore di un microcapitalismo organizzato a rete, per cui c’è un localismo dinamico che si sta inserendo nella globalizzazione.
In ogni caso oggi governo, maggioranza e opposizione, devono misurarsi con alcune questioni di fondo. In primo luogo c’è il problema dei rifiuti in Campania. In secondo luogo il nodo dell’Alitalia. Ma poi, passando dal particolare al generale, ci stanno i temi su cui il centrodestra ha vinto le elezioni: la sicurezza e la esigenza insopprimibile di una ripresa della crescita.
Il nodo sicurezza è drammatico perché finora l’Italia è stata considerata il «ventre molle dell’Europa». Orbene su questo terreno, nel rispetto delle garanzie fondamentali, lo Stato deve essere molto duro.
Sul piano economico-sociale noi non abbiamo solo il problema geopolitico e geoeconomico dei rapporti con la Cina sottolineato in parte da Giulio Tremonti. Oggi noi abbiamo dei seri problemi aperti anche in Europa. La prima questione, un’autentica palla al piede, è costituita dal nostro enorme deficit-pubblico. La seconda è costituita dal fatto che in Europa, anche ai nostri confini alcuni paesi (Spagna, Slovenia, ma anche Irlanda, Estonia, ecc.) hanno realizzato la «rivoluzione economica» che noi ancora non abbiamo fatto: riduzione della pressione fiscale per chi va a investire dall’estero, sicurezza, buone infrastrutture, uno Stato efficiente. Ora questa è l’operazione modernizzatrice e liberatrice che deve realizzare in Italia il governo Berlusconi. Per essa gli elettori ci hanno votato. È meglio se essa si realizza nel contesto di un rapporto «normale», fra maggioranza e opposizione. Né demonizzazione, né consociativismo ma rapporti trasparenti di consenso e di dissenso sul merito delle questioni.
Un’ultima considerazione riguarda la paradossale polemica avanzata da alcuni giornali cattolici secondo i quali questo governo sarebbe del tutto laico e senza una consistente presenza di politici cattolici. Questo è un governo che, specie dal lato Forza Italia, ha fatto un’opera di grande ringiovanimento. Larga parte di questi giovani ministri, forse meno conosciuti dalle gerarchie, sono da sempre cattolici praticanti. In più, su una serie di questioni programmatiche, a partire dalla famiglia, è evidente l’«ascolto favorevole» che questo governo ha nei confronti del mondo cattolico, ferma la libertà di coscienza sulle questioni della bioetica. Non c’è dubbio che nel governo sono anche presenti ministri di origine e cultura socialista (lo stesso Tremonti, che ha una sua caratterizzazione originale, Frattini, Brunetta, Sacconi, Stefania Craxi). A parte il fatto che ognuno di essi è stato scelto da Berlusconi per le sue indubbie competenze tecnico-politiche, vanno anche dette due cose decisive: non esiste, per scelta consapevole, in Forza Italia una corrente socialista organizzata; è anche indubbio però, che, dopo il ’92-94 una larga parte dell’area cattolica e democristiana e il grosso dell’area socialista legata a Craxi si sono collocati in Forza Italia.
A suo tempo il Psi oscillava fra il 12-15 per cento dei consensi. Se da un lato Boselli, dall’altro Spini-Ruffolo ne hanno spostato il 2 per cento verso lo Sdi o verso il Pds-Ds è grasso che cola. Invece circa il 10 per cento di elettorato socialista che è mancato in tutti questi anni all’area di centrosinistra si è collocato in Forza Italia.
Dal 1994 in poi la genialità di Berlusconi è stata quella di dar vita a un partito nel quale sono confluiti laici e cattolici.
Invece Veltroni ha definitivamente «spento» e distrutto anche ogni nicchia socialista esistente nel centrosinistra e ha dato un grande spazio a Di Pietro che sta aggregando tutta l’area giustizialista e forcaiola che esiste in Italia.
Per altro verso, è finita da anni l’era del partito unico dei cattolici. L’Udc è un partito di nicchia: ci auguriamo che le gerarchie ecclesiastiche facciano i conti con le nuove collocazioni nelle quali si è ormai dislocato il grosso elettorato cattolico, che comunque è ormai profondamente diviso sul piano politico e nel voto.
Del resto, sul piano storico, sono stati sempre i cattolici liberali e i liberalsocialisti che si sono battuti dagli anni Trenta agli anni Quaranta contro i due totalitarismi dominanti, quello nazista e quello comunista, dagli anni quaranta agli anni Ottanta contro l’imperialismo sovietico e adesso contro il fondamentalismo islamico. Né cattolici integralisti, né laici anticlericali: questo è, a nostro avviso, l’approccio moderno ad alcune delle questioni che stanno sul tappeto.* Presidente gruppo Pdl Camera
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