Siena - «Voi non potete capire cosa ha significato per me sapere cosa era successo in questi ultimi dieci anni, quale fastidio mi abbia dato leggere certe cose».
La giornata del presidente è iniziata molto presto assieme alla squadra all’Excelsior, cinquanta metri dal Franchi di Siena. Seconda potenziale giornata da campioni, più incasinata della prima perché servono due risultati che girano bene e non dipende solo dall’Inter. Massimo Moratti è nella hall, fuori un muro di tifosi ha circondato il pullman che porterà la squadra al campo, lui sbircia da dietro le tende come uno qualunque. A fine giornata, esausto, in un momento di pura intimità, confiderà: «Mi hanno detto che a Milano la gente è tutta in Duomo, vorrei essere uno qualunque che tira giù il tettino dell’auto e sventola la bandiera mentre gira per la città».
Era tale la voglia di farla fuori subito che la partita inizia un minuto e mezzo prima di tutto il resto della giornata. Dopo cinque minuti di recupero Massimo Moratti resta impassibile: «Ma a Bergamo ancora non è finita...?».
Poi gli sono già tutti addosso, quasi non riesce neppure ad alzare le braccia dalla gioia: «Il primo pensiero? A questi meravigliosi tifosi, Siena è un bel posto per diventare Campioni d’Italia».
Adesso Massimo Moratti, 62 anni fra poco meno di un mese, presidente da febbraio 1995, non più soltanto figlio di Angelo e basta, ha vinto lo scudetto quello vero, e non sa se ha cancellato per sempre la nomea di perdente, ma di sicuro non gliene importa più assolutamente niente: «Questo è il secondo scudetto consecutivo, tutti e due meravigliosi. Se volete scrivere che è la vendetta del 5 maggio fate pure, due scudetti meravigliosi e diversi, ma uno più bello dell’altro. Quello dello scorso anno vinto contro la banda del malaffare, quello di quest’anno contro una grandissima Roma a cui devo fare i miei complimenti. Non ho mai avuto paura, un momento di calo del rendimento è normale in una stagione giocata a questo livello. E poi non ho mai avuto paura neppure dopo l’1-3 casalingo con la Roma, perché quella banda non c’era più». Fine delle trasmissioni e nessuna altra risposta tirata per i capelli su veleni e intercettazioni. Morati ha voglia di parlare della sua Inter: «Ma quanto è bello essere interisti oggi. Spero che questo sia solo l’inizio di un grande ciclo, con Mancini naturalmente». La prima notizia l’ha data il campo, la seconda l’ha confermata il presidente: «Mancini resta con noi, ha firmato un contratto di quattro anni più l’opzione per un quinto anno. Se mi dite che sono troppi vi rispondo che se saranno cinque anni di sofferenze ci sembreranno tantissimi, ma se saranno di gioie ci sembreranno pochissimi. Ma qui adesso c’è un clima che consente di poter far bene. Mancini era circondato dalle critiche, dicevano che con la squadra che aveva non poteva fallire, la pressione su di lui era sempre alta, invece ha saputo gestire bene tutto e ha mantenuto i rapporti in maniera intelligente all’interno dello spogliatoio. Sono convinto che saprà far bene anche in Europa».
Della firma già esistente si sospettava, della sua ufficializzazione nel giorno del conforto aritmetico pure, e il presidente non ha fatto altro che confermare. Poi un pensiero che nei momenti di gioia assume una valenza speciale: «In una giornata in cui il mio ricordo va soprattutto a Giacinto Facchetti, un uomo che mi manca terribilmente e al quale ero abituato a rivolgermi per risolvere le questioni più delicate. Giacinto era uno al quale involontariamente mi viene di chiedere tutt’ora un consiglio. Lui resta l’emblema di un calcio pulito, non è qui con noi a festeggiare come non lo sono l’avvocato Peppino Prisco e mio padre, la persona che più ha fatto per l’Inter».
Il secondo pensiero va alla squadra: «Non saprei chi elogiare, se dico Recoba poi succede il finimondo – e ride -. Nomi non è quasi giusto farne, Materazzi merita tantissimo, Ibrahimovic ha giocato una stagione eccezionale, Julio Cesar è stato bravissimo, Cruz ha risolto tante partite, Maicon è stato un’autentica rivelazione, ma quello che più conta è che qui si respira un clima di grande amicizia».
Ci sono le tv in coda, il presidente inizia ad accusare il ritmo, sembra finita ma lo avvertono che non ha ancora rilasciato l’intervista a Mediaset: «Ma loro non sono del Milan? – dice ridendo e poi stringe la mano al collega di Canale 5 –. Come va?».
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