Inter, la vera storia di quel documento

La soffiata sulle intercettazioni esce alla vigilia della sfida decisiva col Siena. Il pm chiede l’indagine per la fuga di notizie, poi la mette agli atti. L'ira di Moratti: "Una buffonata"

Inter, la vera storia di quel documento

Milano - Bisogna tornare indietro di otto mesi, alla settimana di passione del maggio 2008, per capire come sia potuto nascere il surreale rapporto di polizia giudiziaria sulle scelte tecniche dell’Inter che - pubblicato ieri dal Giornale - irrompe nella malferma quiete della società nerazzurra. È il rapporto inviato al pubblico ministero milanese Stefano Civardi, e da questi messo agli atti, che adombra senza mezzi termini l’influenza del business delle scommesse sull’ultima fase del campionato 2007-2008 di serie A, con l’Inter che rallenta bruscamente la sua corsa fino a farsi quasi riacchiappare dalla Roma.

Perché quel rapporto viene commissionato? Sono in tanti ieri mattina, a Palazzo di giustizia, a bussare alla porta del pm per chiederglielo. Giornalisti, ma anche gli avvocati dell’Inter. Civardi - almeno alla stampa - non risponde. «Fonti della procura» fanno poi sapere alle agenzie di stampa che «non esiste un’indagine sul caso scommesse». Ma dell’esistenza del rapporto, protocollato ai fogli da 209 a 211 degli atti, non si può negare l’esistenza. E allora? Quale esigenza investigativa ha portato la Procura milanese a indagare se fosse meglio far giocare Balotelli o spedirlo in panchina, e se i rigori dovevano tirarli Cruz o Materazzi? E perché ci si è spinti fino a dire chiaramente che gli «strani» passi falsi dell’Inter hanno rimpinguato le casse dei bookmakers?

Tutto inizia nella settimana decisiva del campionato scorso, tra l’11 e il 18 maggio. L’Inter viene dalla sconfitta nel derby col Milan. L’11 incontra in casa il Siena e pareggia, la Roma si porta ad un punto. L’incubo del sorpasso comincia a materializzarsi. Ed è in questo clima già nervoso che, a metà settimana, esplode il caso intercettazioni. Di telefonate imbarazzanti tra il coach Roberto Mancini, altri tesserati e un personaggio legato alla «mala» si inizia a parlare già nella giornata di martedì 12. Il 13 il tam tam si fa assillante. Alle 22 del mercoledì, una agenzia di stampa dà il via alla sarabanda. La mattina dopo, la notizia è praticamente su tutti i giornali. In casa Inter è il panico. I vertici della società pensano ad un complotto per disarticolare lo spogliatoio a tre giorni dalla partita decisiva. Invece Mancini - colpito allo stomaco dalle intercettazioni in un momento delicato della sua carriera - si convince che dietro la fuga di notizie ci possa essere qualcuno vicino a Massimo Moratti (che di lì a poco, in effetti, lo rimuoverà indicando proprio le telefonate tra le cause dell’allontanamento).

In quel marasma, la Procura di Milano apre una indagine per scoprire chi abbia passato le carte ai giornalisti: in particolare a quelli del Corriere della Sera e del Giornale, dove sono apparsi gli articoli più dettagliati. L’indagine viaggia a schiacciasassi, vengono analizzati e sviluppati i tabulati di giornalisti e uomini delle forze dell’ordine. È in questa situazione che il pm Civardi - sospettando che la scelta dei tempi non sia stata casuale - ordina di analizzare l’andamento del campionato nerazzurro. La domanda che il magistrato si pone è semplice: perché queste intercettazioni vengono pubblicate il 15 maggio, e non dieci giorni prima o dieci giorni dopo, quando il loro impatto sarebbe stato infinitamente più blando?

Nel giro di meno di due settimane, il rapporto è pronto. È il rapporto in cui - a metà tra 007 e la chiacchiera da bar - si scava nel campionato dell’Inter e in cui (e qui davvero l’attinenza con l’indagine principale si fa misteriosa) si adombra il legame col calcioscommesse. Il 30 maggio il rapporto è sul tavolo di Civardi. Il pm non lo respinge al mittente, come forse potrebbe, non lo stralcia come irrilevante (e pure questo a volte si fa).

Lo inserisce nel fascicolo sulla fuga di notizie e - al momento della chiusura delle indagini - lo mette a disposizione anche delle «vittime»: Roberto Mancini, Sinisa Mihajlovic e (chissà perchè, visto che di lui negli articoli non si parlava) Dejan Stankovic. Che dello strano rapporto di polizia sapevano, dunque, ben prima del Giornale.

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