
«Un piccolo cambiamento di grande utilità». Così negli ambienti della nostra intelligence viene definita l'innovazione, contenuta nel disegno di legge sulla sicurezza approvato definitivamente dal Senato, che riguarda direttamente l'attività dei servizi segreti. È una modifica che - al pari di altri articoli della legge - ha suscitato le ire delle opposizioni, che hanno accusato il governo di dare alle «barbe finte» una libertà quasi illimitata di commettere crimini coperte dall'impunità. «Un dispositivo pericolosissimo - dice Laura Boldrini (nella foto) - che permette ad agenti dei servizi segreti di dirigere associazioni terroriste. Questo nel paese delle stragi di Bologna e di piazza Fontana».
007, licenza di strage? Le cose non stanno proprio così. L'unica, vera novità contenuta nella legge è l'allargamento delle maglie già previste dalla legge del 2004 sui servizi segreti. È la norma che tutela gli infiltrati, garantendo l'impunità se commettono reati «legittimamente autorizzati di volta in volta in quanto indispensabili», mettendo però una serie di paletti. Tra questi, uno dei più rigidi riguardava la partecipazione a organizzazioni criminali o terroristiche: si poteva partecipare all'associazione ma non si poteva dirigerla.
È con questo ostacolo, raccontano fonti interne ai servizi, che si è scontrata in questi anni l'attività degli infiltrati. Appena iniziavano a acquisire la fiducia dell'organizzazione, a venire coinvolti nella sua gestione, una salita nella gerarchia era inevitabile. E a quel punto si trovavano o a dover abbandonare la missione, costata magari anni di impegno, o a rischiare di venire arrestati in caso di indagini della magistratura. «La norma attuale - dicono le fonti - di fatto confinava i nostri uomini al ruolo di manovali, impedendo loro di venire a conoscenza delle notizie più importanti».
Come capi di una organizzazione potranno ordinare crimini? La legge approvata l'altro ieri in realtà lascia intatti i limiti rigorosi previsti dalla vecchia norma: gli 007 infiltrati non potranno commettere delitti «diretti a mettere in pericolo o a ledere la vita, l'integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o l'incolumità di una o più persone». Quindi né stragi né omicidi né sequestri. Se l'organizzazione di cui fanno parte pianificherà un delitto di sangue, gli infiltrati avranno l'obbligo immediato di impedirlo avvisando attraverso le loro strutture gerarchiche le forze dell'ordine e la magistratura: di fare, cioè, esattamente quello per cui sono stati addestrati e utilizzati. «Ma per sapere cosa si decide a certi tavoli - spiegano ancora le fonti - in quei tavoli bisogna essere presenti. Se si è semplici adepti, come finora consentiva la legge, si viene esclusi dai circuiti che contano. Per essere utili come infiltrati in una organizzazione bisogna starci dentro bene, fino in fondo, crescere nella fiducia e nella credibilità». Partecipare alle decisioni, a partire dalla organizzazione logistica del gruppo, per i nostri agenti segreti fino a ieri era un crimine: ora non lo è più.
In ogni caso restano fermi due principi cardini dell'attività di intelligence: l'impunità agli agenti di Aisi e Aise dai reati commessi in servizio (con i robusti limiti di cui sopra) viene garantita solo se la necessità di commettere il reato è stata preventivamente comunicata al servizio di appartenenza, e attraverso di esso ha ricevuto l'okay della autorità
politica, ovvero il sottosegretario con delega alla sicurezza nazionale (a oggi, Alfredo Mantovano); e soprattutto se c'è «proporzionalità» tra il reato da commettere e il risultato da ottenere. Insomma, deve valerne la pena.