2 giugno, il funerale della Repubblica

Alla parata del 2 giugno facce da lutto tra le istituzioni. Cordoglio per l’Emilia? No, paura per l’unico sisma che spaventa Fini, Napolitano & C: quello delle poltrone

2 giugno, il funerale della Repubblica

Una celebrazione o un funerale? La pa­rola d’ordine, imposta e ripetuta co­me un refrain in ogni compunto tele­giornale, era: «Una parata in tono minore, né cavalli né Frecce tricolori e a costi dimezzati, per solidarietà con i terremotati dell’Emilia». Una minestra di retorica.E ce l’hanno ripetu­to compuntamente in tutte le edizioni, con quel tono didattico e apodittico che si usa adesso, per cui se non credi vai all’inferno.

Noi invece pensiamo che l’Emilia fosse sol­tanto un pretesto, o meglio un paravento per coprire pudicamente qualcosa che nessuno vuol dire apertamente e che ha a che fare con il senso di morte istituzionale che sta perva­dendo il Paese e fa marcire l’anima dei citta­dini. Tanto, in Emilia i terremotati sono furio­si comunque, e non volevano saperne di pal­chi, di marce, alpini in nessuna forma, né sfarzosa né francescana. Infatti ieri su Twit­ter si assisteva alla commemorazione di Arnaldo Forlani, presiden­te del Consiglio nel 1976, che abolì la parata del 2 giugno di quell’an­no in segno di lutto per il terremo­to del Friuli. Poi ci sono i politici co­me Di Pietro che ieri ha definito la parata uno spreco, cosa che ha fat­to saltare la mosca al naso di Napo­litano, il quale è entrato di nuovo in campo come giocatore e non co­me arbitro ( lo aveva fatto con Gril­lo pochi giorni fa) rispondendo a Di Pietro che non sa di che parla, che il terremoto è stato strumenta­lizzato e che se a lui viene voglia an­drà a vedere le partite in cui gioca l’Italia negli Europei di calcio, alla faccia degli sprechi. Ci è sembrato un mezzo metro sopra le righe.

Come fa il presidente della Re­pubblica a denunciare la «stru­mentalizzazione » del terremoto se il Quirinale ha voluto, proprio lui, collegare la parata dimessa al terremoto? Infatti, ciò che abbia­mo visto ieri non era una celebra­zione paragonabile al Quattordici Luglio in Francia, ma una parata funeraria accompagnata dal tri­ste rullo dei tamburi. I simboli e la coreografia parlavano chiaro: era­no le esequie della seconda Re­pubblica. L’assenza di musica e il passo delle truppe nel silenzio sur­reale offrivano un’immagine più angosciosa che sobria. Il sole inter­mittente costringeva poi il presi­dente Napolitano a passare conti­nuamente dagli occhiali scuri a quelli chiari e vice­versa senza poter mantenere la po­stura immobile e impassibile che il ruolo di una cele­brazione avrebbe richiesto. Per un funerale, andava invece benissimo. I politici ingessa­ti e impettiti come da copione mo­stravano i guasti dell’età, ma l’in­vecchiamento ap­pariva più dram­matico in quell’at­mosfera dimessa, anzi sconfitta. E al­lora veniva da pen­sare che sì, proba­bilmente la mag­gior parte dei politici fra un anno non sarà più lì, perché la seconda Repubblica sarà definitivamente morta senza che se ne veda una terza. Dopo la decapitazione dei partiti nel 1992, abbiamo vissuto con nuovi partiti ora in crisi. E do­po? Nessuno sa rispondere per­ché i «forse», i «se» e i «ma» abbon­dano: forse arriva Montezemolo, ma forse no, certamente arriva Grillo ma dipende dalla legge elet­torale, ci sarà una fiera di liste civi­che, di formazioni trasversali e ab­borracciate, mentre nel Paese crolla l’affezione all’unità nazio­nale. Proprio mentre lo Stato era lì impettito e compunto, è tornata a circolare la previsione della fine dell’euro e dell’eurozona.Una ca­tastrofe dietro l’altra. Alla disaffe­zione e alla rabbia per le tasse e la disoccupazione, per non dire dei terremoti, si aggiunge la diffiden­za sempre più ostile per l’Europa e questo accade mentre molti esper­ti di finanza avvertono che il peg­gio deve ancora venire: l’esatto contrario di quel che, con il suo ot­timismo che è un parametro del suo senso del dovere, va ripeten­do Monti quando si dice sicuro che «l’Italia ce la farà».

Così alla fine, la mestizia della parata di ieri, è andata a confluire nel furore popolare che vede lo spreco ma non la vitalità dell’isti­tuzione. In ventiquattro ore la di­saffezione è certamente cresciuta come si vede da internet: la gente si sente meno protetta, i terremo­tati emiliani parlano di beffa, le banche non sostengono il lavoro e cresce la platea di chi non paga il mutuo.

Intanto è decollata l’estate, il che vuol dire che Natale è alle por­te e le elezioni sono dopodomani: ma non siamo ancora sicuri con quale legge elettorale si voterà benché la conferenza di «Abc» ab­bia portato alla sigla di un abboz­zo di accordo su un sistema misto, un proporzionale senza preferen­ze ma con sbarramento e premio di maggioranza. Intanto, appare evidente che neanche la severità fiscale paga: l’ultimo crollo delle Borse e la vampata dello spread so­no dipesi d­alle notizie sulla disoc­cupazione americana, sulla quale non possiamo fare certo nulla.

La retorica però lievita, giornali e telegiornali attingono a un voca­bolario sempre più ristretto e con­formista che sembra un alibi nei confronti degli italiani che non hanno mai avuto un gran senso del­lo Stato.

Rimettere insieme alla meglio i cocci di quella disaffezione anche simbolica ha richiesto nuove fati­che retoriche da parte dei presiden­ti Pertini e Ciampi che puntarono proprio sulla parata del 2 giugno come antidoto alla crisi delle co­scienze e come momento tonifi­cante dell’unità.

A loro si aggiunge l’attuale presidente che però non riesce a infondere alcuna allegra fi­ducia ma doverosa costernazione, il che sarà decoroso ma non aiuta a rimuovere il problema.

Sulla parata bisognava prende­re una posizione non pilatesca: o il 2 giugno si celebra come cristo comanda, oppure la festa si so­spende come fece Forlani nel 1976. Farne invece una via di mez­zo e triste è stato un errore.

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