Fantantonio, psicanalisi di un campione matto

Ecco perché Cassano cambia sempre squadra. Un giro attorno a Milano per sentirsi ancora una volta re

Fantantonio, psicanalisi di un campione matto

Passerà per traditore, Antonio Cassano. Disse quella frase: «Non tradirò chi ha creduto in me. Se sbaglio, stavolta sono da manicomio». Eppure se ne va. Cambia maglia, non città. Cambia squadra, non casa. Un giro attorno a Milano per sentirsi ancora una volta attaccato: è il suo destino, la dannazione che si porta appresso da sempre. La fama dell'insofferente e dello strafottente: meritata e immeritata, vera e falsa. Cassano dal Milan all'Inter. Sta bene alle squadre, sta bene a lui, forse. Perché qualcuno dice che si sia già pentito: non di aver detto sì all'Inter, ma di aver cambiato maglia. Perché questa è la storia di un irrequieto cronico, di un ragazzo che cerca disperatamente il posto dove lo facciano sentire un re, di un giocatore che ha il talento del fenomeno e il percorso di un rompiscatole. Bari, Roma, Real Madrid, Sampdoria, Milan, Inter: per l'unica volta nella vita finisce sul mercato per interesse delle squadre più che personale. Perché passerà la storia «è lui che ha chiesto la cessione», ma è una verità parziale. Cassano è diventato uno strumento: una pedina di scambio, non per marachelle o per intemperanze, ma per un gioco di incastri in cui ci guadagnano tutti a vario titolo. Lui chiude un cerchio, è la chiusura della traiettoria della vita e forse arriva nell'unico posto in cui possa raccontare davvero la sua parabola: perché uno che si rivela al mondo con quel gol all'Inter del 18 dicembre 1999 e che subito dopo dice «ho segnato alla squadra per cui ho sempre tifato» prima o poi doveva arrivare lì.

È la banalità sacrale del pallone che mescola cinismo e retorica. Il dosaggio adesso pende sulla seconda: Cassano può compiere se stesso, può dirci chi è stato, chi è, e chi sarà. Quello che non sappiamo, perché il resto l'abbiamo visto e l'abbiamo sentito. L'hanno chiamato pazzo, genio, guascone, bullo, talento, irriverente, fastidioso, campione, volgare, ignorante, cafone, truzzo, sbruffone, antipatico, coniglio, eroe. In tredici anni i giudizi si sono mescolati, pendendo sempre un po' di più per quelli negativi. Una classe da sempre messa in discussione dalla follia. Dall'atteggiamento, come hanno sempre detto i suoi detrattori. E atteggiamento è la parola che ha sostituito negli ultimi tempi «cassanate». Cioè quegli episodi che l'hanno reso celebre suo malgrado. Le bravate in auto quando era ancora un ragazzino senza patente a Bari, il dito nel cappuccino di Batistuta a Roma, le corna fatte in eurovisione a un arbitro, le imitazioni di Capello a Madrid, la maglia lanciata in faccia a un altro arbitro a Genova, le offese al presidente della Samp, Garrone. L'ultimo? è quello sui gay, durante l'Europeo: «Mi auguro che non ci siano froci in Nazionale». Non ne ha scontata una, Cassano. Molte se le è cercate, alcune sono state trappole. Quella storia del traditore è una fregatura che si trascina: da Roma andò via per incompatibilità, da Madrid perché non ha mai dato quello che avrebbe dovuto, da Genova per una follia. Amato molto e molto anche odiato. Ora lascia il Milan che l'ha coccolato e aspettato dopo l'infortunio che poteva metterlo fuori gioco per tutta la carriera. Non se ne va perché ha litigato con qualcuno, ma perché ha bisogno di sentirsi il più importante di tutti: poteva accettare di essere secondo a Ibra e a Thiago Silva. Solo a loro. Senza rancore, dice. Sperando che lo stesso pensino gli altri. Sa che non è così: i tifosi non accettano.

L'esigenza di sentirsi un re ha penalizzato Tonino. L'ha messo nella posizione di essere sempre il cattivo. Gli altri hanno fatto il resto: ci sono fenomeni intoccabili e altri che si possono strizzare. Cassano sta qui. È un obiettivo facile perché non dice mai la cosa più scontata, perché non sa cosa sia la diplomazia. Lui è così, e se ne frega. Voleva sfangarla da una vita complicata e l'ha sintetizzato così: «Mi sono fatto 17 anni da pezzente e nove da miliardario. Me ne mancano ancora otto per pareggiare». Nel frattempo il margine s'è ridotto: ne mancano quattro. Due di questi saranno all'Inter, dove ha firmato un contratto che prevede bonus per i gol, ma anche per gli assist, perché lui gode più a far segnare gli altri che a buttarla dentro. A trent'anni Cassano non ha ancora sviluppato tutto il suo talento. È lì, sempre all'inizio di un nuovo inizio. Succede sempre qualcosa che lo ferma, che lo inceppa, che lo interrompe.

L'Inter è l'inizio della sua storia: colpo di tacco, palleggio di testa, finta, Panucci e Blanc a prendere farfalle, Ferron per terra, il pallone in rete. Aveva 17 anni. Si ricomincia da qui, a parti invertite. Forse non è l'ultima squadra, ma è l'ultimo giro.

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