Politica

La marcia su Roma dei politici spazzini

Oggi, esattamente come 18 anni fa, i cittadini non ne possono più dei partiti (guidati dalle solite facce), ai quali non riconoscono la dignità di rappresentarli e fremono dal desiderio di "licenziarli"

La marcia su Roma dei politici spazzini

Mentre il mondo islamico è ormai impazzito per un film che pochi hanno visto, ma di cui tutti parlano indignati, nel nostro piccolo anche noi in Italia abbiamo perso la pazienza a causa di una politica che propone sempre lo stesso brutto film, quello che racconta un Paese prigioniero di un sistema paralizzato. Oggi, esattamente come 18 anni fa, i cittadini non ne possono più dei partiti (guidati dalle solite facce), ai quali non riconoscono la dignità di rappresentarli e fremono dal desiderio di «licenziarli».
Chiunque non abbia un volto arcinoto, non abbia frequentato assiduamente il Palazzo, e si metta a parlare da una tribuna con un linguaggio diverso dal politichese, suscita pubblico interesse. Non conta quanto dice, ma come lo dice. Viene ascoltato, e addirittura portato in trionfo, se dà l'impressione di voler fare piazza pulita di ogni rito caro a certi leader che, da anni, pronunciano la medesima predica senza riuscire a tradurla in pratica.

Il successo di Beppe Grillo non si spiega solo così, ma soprattutto così. Idem quello di Matteo Renzi, protagonista, sul fronte delle primarie del Pd, di una campagna inedita nei toni e nello stile. Il fondatore del Movimento 5 stelle e il sindaco di Firenze, ciascuno a proprio modo, hanno intercettato il malumore popolare e cavalcano l'onda con grande abilità.

Presto per dire quanta strada percorreranno, ma è facile intuire che andranno lontano perché contano su una certezza: non hanno un'immagine logorata e stimolano curiosità negli elettori delusi da quello che Silvio Berlusconi definì «teatrino della politica», dove però egli stesso si rassegnò a recitare. Un rischio che sia Grillo sia Renzi correranno, qualora raccogliessero le messi di voti cui aspirano. Anche loro, infatti, esattamente come l'attuale «padrone» del Polo delle libertà nel 1994, hanno le caratteristiche per piacere alle folle (eloquio atipico e adatto alla comunicazione, ottimismo contagioso, carica innovativa), ma l'esperienza insegna che in Italia non bastano i voti per governare.
Già costituire una maggioranza è complicato. Di norma (sempre) occorre formare una coalizione con altri partiti sulla base di un programma condiviso; e qui ci si accorge che andare d'accordo con gli alleati è un'impresa. Quando poi la macchina, tra mille ostacoli, si muove, cominciano i problemi relativi a una Costituzione immutabile e idolatrata. Inoltre l'opposizione fa sentire il suo peso, così come le cosiddette parti sociali: sindacati, Confindustria, corporazioni varie, lobby, eccetera. Per approvare un provvedimento si passa dal Parlamento, due Camere lente e condizionate da regolamenti farraginosi.

Insomma, il più delle volte l'esecutivo, pur animato dai migliori propositi, combina poco o nulla. E ciò dà la stura a polemiche, dibattiti televisivi, scioperi, minacce. Sottoposto a simile «terapia», qualsiasi governo è destinato a fare brutta figura, il Cavaliere e Romano Prodi ne sanno qualcosa. Fatalmente il «nuovo» (il sospirato e agognato nuovo) diventa decrepito, del tutto somigliante al deprecato vecchio, per archiviare il quale ci si era battuti allo spasimo.

Chi non ricorda il tramonto della Prima Repubblica e la nascita travagliata della Seconda? Domanda (retorica): come si fa a pretendere di ammodernare le istituzioni (e il Paese) senza riformare le regole? Impossibile. Ecco perché assisteremo - chiunque vinca le elezioni del 2013 - al consueto spettacolo insensato cui, tra una delusione e l'altra, ci siamo abituati. I lettori obietteranno, come nella canzonetta di Sergio Endrigo: se le cose stanno così, ci può salvare solo una rivoluzione. Giusto. Ma chi la fa? Renzi? Grillo? Di Pietro?
Quando Benito Mussolini portò a termine la Marcia su Roma, re Vittorio Emanuele III, davanti al Duce e alle camicie nere, pare abbia detto: ne abbiamo provati tanti, proviamo anche questi.

Ma erano altri tempi, e non è il caso di rimpiangerli.

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