Altro che fenomeno circoscritto. Lo sperpero di denaro pubblico nelle Regioni è un regola non palese ma osservata con scrupolo da consiglieri, assessori e governatori. Col pretesto che così fan tutti, si ruba con disinvoltura. Le notizie di ieri lo confermano. Si indaga un po' dappertutto, anche in Emilia Romagna, in Piemonte e in Campania e non solo nel Lazio, in Puglia e in Sicilia. È perfino imbarazzante parlarne in un momento di crisi economico-finanziaria che impone ai cittadini pesanti sacrifici, tra la disoccupazione in aumento, il Pil calante e il fisco predatorio.
Il ceto politico se ne infischia degli elettori e continua imperterrito a segnalarsi per scorrettezze sconfinanti nella criminalità. Ogni giorno scoppia un bubbone. La Guardia di finanza è impegnata nel controllo delle spese allegre a Bologna e a Torino, dove pare siano stati scoperti altarini. I soliti altarini: rimborsi truccati, prelievi illeciti di somme, eccessiva voracità nel succhiare denaro dai fondi (enormi) a disposizione dei partiti, peraltro non tenuti a fornire la cosiddetta rendicontazione.
Presto per denunciare reati, cosa di cui si occupa la magistratura. Ma il clima che si sta creando negli enti locali è pessimo: c'è chi trema e chi si affanna nella speranza di mettersi in salvo. Un fatto chiaro. La revisione (costituzionale) del Titolo V, voluta dalla sinistra all'inizio degli anni Duemila, e che ha elevato i poteri degli enti territoriali a livello di quelli statali, ha provocato un deterioramento dei costumi nelle amministrazioni periferiche, al punto che il furto è considerato pressoché lecito.
Nel Paese monta l'indignazione e con essa il desiderio di abbandonarsi alle sollecitazioni dell'antipolitica, il cui successo, avanti di questo passo, è sicuro alle prossime elezioni (2013, primavera). Si rafforza inoltre la tesi secondo la quale l'istituzione delle Regioni, nella prima metà degli anni Settanta, sia stata una iattura. In effetti da allora in poi la spesa pubblica (e quindi il debito) si è gonfiata a dismisura, e ora è insostenibile. Negli ultimi dieci anni è raddoppiata: 90 miliardi in più rispetto al 2001. È indubbio che si tratti di un'indecenza di cui qualcuno dovrebbe rispondere, ma ciò non avviene. Perché?
A dire il vero Pier Luigi Bersani ha riconosciuto l'errore di aver modificato il Titolo V, ma non ha fatto seguire un'iniziativa per tornare allo statu quo ante: il ripristino della versione originaria della Carta. Personalmente sono stato un tempo favorevole al decentramento, in teoria. Ma quando esso è stato realizzato all'italiana, mi sono accorto che stavamo meglio col centralismo. Il federalismo funziona a certe condizioni, ma se queste non esistono conviene rinunciare al nuovo e tenersi il vecchio.
Purtroppo le Regioni si sono rivelate, così come le abbiamo messe in piedi, meri centri di spesa che appesantiscono i costi di gestione e non portano alcun beneficio agli italiani. Sono enti che incentivano la corruzione e il malcostume. Andrebbero chiusi. Non si può? Se ne riduca il numero. Che ce ne facciamo di 20 Regioni, alcune minuscole ma piene zeppe di dipendenti e di politici strapagati che vivono quali pascià alle spalle dei contribuenti? Tanto più che esse, nell'impossibilità di svolgere servizi all'altezza delle attese, hanno delegato quasi tutte le competenze alle Province, in procinto di essere soppresse. Probabilmente, sarebbe più opportuno eliminare le Regioni e lasciare in vita le Province, che hanno una tradizione e una capacità collaudata di soddisfare le esigenze della gente.
Per quanto riguarda il controllo delle amministrazioni locali, mi domando perché siano state ridimensionate (azzerate) le Prefetture cui spettava il compito di verificare la legittimità di ogni provvedimento, sia sotto il profilo tecnico sia sotto quello finanziario.
La rappresentanza del governo sul territorio è stata umiliata, per non dire distrutta, per consentire ai politici - questo è il timore - di fare il comodo loro e di scialacquare quattrini in abbondanza senza l'obbligo di giustificarsi.Il miglior modo per affrontare il futuro è quello di rivalutare il passato. La differenza fra i progressisti e i conservatori è tutta qui: i primi rompono e i secondi aggiustano.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.