Per una volta i nostri nemici non l'hanno spuntata. Per una volta battere i pugni sul tavolo del Consiglio d'Europa è servito a qualcosa. Nonostante le gufate di un'anti-italiana doc come Cecilia Malmström, la Commissaria Ue per gli affari interni prontissima, lunedì, a escludere qualsiasi apertura al nostro paese in materia d'immigrati. Ieri invece il Consiglio d'Europa ci ha dato ragione. Le bozze conclusive della riunione di Bruxelles parlano della «necessità di un'equa ripartizione di responsabilità di fronte ai problemi dell'immigrazione». Rispetto alla precedente bozza, la parte dedicata alle politiche migratorie passa da un solo paragrafo a ben quattro. La nuova bozza fissa inoltre le azioni prioritarie e le prime scadenze temporali. Tra queste un rapporto della Commissione ai 28 ministri dell'Interno in occasione del Consiglio Ue del 5 e 6 dicembre, e uno della presidenza di turno lituana al vertice dei capi di Stato e governo di metà dicembre.
La proposta italiana, sostenuta anche da Grecia, Bulgaria, Malta, Francia, Spagna e Cipro, sulla necessità di ripartire equamente i profughi salvati nel Mediterraneo incomincia dunque a far breccia nella diga opposta dai paesi nordici. Ovvero i paesi da cui provengono gli euroburocrati più ostili al nostro paese. Di Cecilia Malmström, la svedese pronta a rinfacciarci una cattiva gestione dei fondi per l'immigrazione nonostante l'Italia resti, con i 16 miliardi di euro versati nel 2011, uno dei grandi contribuenti europei, si è già detto. In onore della sua «lungimiranza» andrebbe ricordata la fermezza con cui il 24 febbraio 2011 - all'inizio della crisi libica - la Commissaria mise a tacere chi in Italia prevedeva un'invasione di migranti sentenziando di non «veder persone in transito dalla Libia all'Europa». Qualche mese dopo quando, in barba alle sue previsioni, l'Italia si ritrovò costretta ad «agevolare» il transito verso la Francia delle migliaia di disgraziati approdati sulle proprie coste, l'amabile Cecilia non mancò di condannarci e difendere, invece, la decisione di Parigi di bloccare treni e immigrati.
Se la svedesina non ci ama, che dire del suo grande capo belga, il presidente del consiglio europeo Herman Van Rompuy. Conosciuto come «faccia di topo» nel microcosmo di Bruxelles, ma sconosciuto ai più in Europa quel presidente «carismatico» - secondo la battuta dell'europarlamentare inglese Nigel Farage - «quanto uno straccio bagnato» non perde occasione di far la voce grossa con noi italiani. Esemplare da questo punto di vista l'uscita del novembre 2011 quando - arrivato a Fiesole per spianare la strada alla nascita del governo Monti - non esitò a spiegarci - con buona pace della democrazia - che il nostro paese non aveva bisogno di elezioni, ma di riforme.
Ma se «Herman il belga» e «Cecilia la svedese» possono sembrare quantomeno altezzosi o prevenuti, che dire del finlandese Olli Rehn. Il commissario per gli Affari economici dell'Unione europea, definito una sorta di iattura mondiale dal Fondo Monetario Internazionale e considerato un pericolo pubblico dai più illustri economisti europei, ha una propensione tutta particolare nel riservare all'Italia la più indisponente e protervia arroganza. Quando il 17 settembre in visita a Roma parlò alla Camera descrisse il nostro paese come una Ferrari impazzita pronta a sbandare e a finire fuori strada a causa dei bilanci avariati. E subito dopo superò tutti i limiti della legittima ingerenza arrivando a bocciare, a nome della Commissione Europea, la decisione del governo Letta di sospendere l'Imu.
Nonostante le aperture del
Consiglio d'Europa, l'Italia non può, comunque, cantare vittoria. Quelle appena messe su carta sono solo promesse. Tra il dire il fare continua a esserci un Mediterraneo sempre più affollato. E sempre più fuori controllo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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