Un accanimento che umilia il diritto

Uno ha perso la libertà ingiustamente? Non importa. Occorre anche punirlo con pene "accessorie" (ma gravi)

Piove sul bagnato. Quando un uomo cade in disgrazia, c'è sempre qualcuno o qualcosa che gli impedisce di rialzarsi. Alessandro Sallusti, direttore del Giornale fino a ieri, oggi non lo è più: sospeso dall'Ordine dei giornalisti per motivi tecnico-giuridici. Quindi non può assumere la responsabilità di una qualsivoglia pubblicazione. Queste sono le norme, la cui interpretazione è affidata a persone non infallibili e talvolta, forse, in malafede. Ma non abbiamo più voglia di polemizzare, sorvoliamo sul diritto e veniamo alla sostanza.

A Sallusti, com'è noto, la giustizia ha riservato un trattamento particolare: una condanna a 14 mesi di reclusione per un articolo giudicato diffamatorio. La diffamazione a mezzo stampa è un reato molto diffuso, commesso spesso da qualunque direttore e da numerosi giornalisti. C'è chi ha una copiosa collezione di condanne. Eppure, nonostante la legge preveda la galera (da uno a sei anni), da quando esiste la Repubblica italiana solo una volta un collega è finito in carcere, nel 1954: Giovannino Guareschi, il creatore di don Camillo che ispirò una serie felice di film. Uno scrittore di destra, guarda caso.
Tutti gli altri gazzettieri, pur riconosciuti colpevoli dal tribunale, se la sono cavata a buon mercato a prescindere dal fatto che avessero o meno dei precedenti specifici. Perché? I giudici, riconoscendo l'eccessivo rigore della legge, per oltre mezzo secolo hanno trovato il modo di applicarla dolcemente: una multa e via andare. Se una regola crudele viene aggirata per anni è ovvio che vada cambiata, se non altro per evitare che un magistrato se ne serva per colpire un imputato in particolare, suscitando il sospetto di avercela con lui.

In effetti - sarà una coincidenza - il secondo dopo Guareschi a essere stato condannato alla prigione (e unico in Europa, anzi nel mondo occidentale) è stato Sallusti, considerato (nella sentenza della Cassazione) incline a delinquere. Insisto: come mai negli ultimi 58 anni soltanto due giornalisti, entrambi di destra, sono stati privati della libertà per uno straccio di articolo? Il Parlamento, accortosi dell'enormità del verdetto pronunciato contro il responsabile (da ieri ex) del Giornale, si era subito impegnato a modificare la legge per abolire il carcere e fissare le modalità che restituissero comunque l'onore al diffamato. Quando la soluzione sembrava essere stata trovata, il provvedimento (che avrebbe allineato l'Italia agli altri Paesi europei) invece di essere approvato è stato bocciato per volontà di parecchi senatori ignoranti in materia giornalistica.

Cosicché Sallusti non è stato salvato e tutti i suoi colleghi continuano a essere a rischio: il loro destino dipende dalle toghe chiamate a giudicare le cause di diffamazione in cui sono imputati. Fin qui la storia è abbastanza nota, meritevole tuttavia di essere ricostruita allo scopo di raccontarne gli ultimi sviluppi. Come se non bastasse che Alessandro si trovi da dieci giorni agli arresti domiciliari, i meccanismi della burocrazia corporativa (medievale) si sono avviati e lo hanno stritolato con la tipica indifferenza di ogni organismo avente funzioni disciplinari.

Uno ha perso la libertà ingiustamente? Non importa. Occorre anche punirlo con pene «accessorie» (ma gravi). Quali? L'Ordine dei giornalisti, nella sua spietata asetticità, ha osservato alla lettera le proprie pandette, le quali recitano che un iscritto bastonato giudiziariamente debba anche essere disoccupato, quindi senza stipendio. In altre parole: la sospensione dall'albo (per una durata imprecisata) vieta a chi l'ha subita di esercitare la professione in qualsiasi forma. E qui siamo nell'assurdità: tutti i cittadini possono scrivere (retribuiti o no) sui giornali, tranne i giornalisti sospesi o radiati dall'Ordine. La Costituzione ridotta a strame.

Sallusti agli arresti non ha diritto di svolgere il suo lavoro benché il giudice di sorveglianza avesse disposto il contrario, consentendogli di usare il computer e il telefono. Di mantenere la carica di direttore responsabile non se ne parla neanche. Zero. Se Alessandro non avesse soldi per comprarsi da mangiare, morirebbe di fame. Peggio per lui, la Corporazione non scherza. Per fortuna è stata abolita la tortura, altrimenti qualcuno non esiterebbe a invocarla: solo per l'ex direttore del Giornale, s'intende.

Da questo racconto si evince la necessità, e l'urgenza, di riforme autenticamente liberali: abolizione dell'Ordine professionale, che limita la libertà di manifestare il pensiero e di scrivere a chi desideri farlo senza lacci e lacciuoli; cancellazione immediata dal codice penale della detenzione per i reati di diffamazione e opinione; introduzione dell'obbligo di rettifica secondo un protocollo in cui non si trascurino i tempi e le modalità di pubblicazione; fissazione dei risarcimenti in base a criteri oggettivi.

Per quanto riguarda Sallusti, la sua vicenda si commenta

da sé. Siamo di fronte a un accanimento che ripugna alla coscienza. Lasciate in pace questo nostro collega, tiratelo fuori dal cul-de-sac in cui l'avete infilato, e fatelo lavorare. Per lui il Giornale è ragione di vita.

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