RomaLa Camera si fa da parte e il Senato va avanti a tappe forzate con la riforma del reato di diffamazione. La presidente della Commissione giustizia di Montecitorio, Giulia Bongiorno, annuncia che non si intralceranno a vicenda i due disegni di legge in materia. «Abbiamo deciso - dice - di non sovrapporre il nostro lavoro al loro, augurandoci che il testo arrivi alla Camera in tempi rapidi». Insomma, il ddl Chiti-Gasparri di Palazzo Madama ha la precedenza e quello Pecorella-Costa di Montecitorio viene accantonato.
È previsto per giovedì il voto finale nella commissione Giustizia di palazzo Madama, in sede deliberante. Poi la palla passerà a Montecitorio, per il sì definitivo.
Sotto la spinta del caso-Sallusti (c'è tempo solo fino al 26 ottobre per evitare i 14 mesi di carcere al direttore del Giornale) il parlamento si muove, finalmente, per cancellare la vergogna del rischio prigione per i giornalisti e varare un regime più stringente dell'obbligo di rettifica per i mass media.
Qualche rischio sui tempi rimane. Il termine per gli emendamenti slitta da domani a martedì, quando sono fissate anche cinque audizioni a vari esperti. Ma il presidente del Senato, Renato Schifani, ha autorizzato il numero uno della commissione, Filippo Berselli, a dedicare tutta la giornata dell'11 ottobre all'approvazione del testo. La tabella di marcia dovrebbe dunque essere rispettata, se viene scongiurato il rischio che un gruppo di senatori chieda la procedura normale per il ddl, allungando molto i termini e facendo maturare per Sallusti il tempo della prigione. Ci vorrebbe un quinto dei membri della commissione o un decimo dell'aula e nella discussione alcuni senatori del Pd e dell'Api hanno sollevato obiezioni sulla scelta della sede deliberante. Ma la capogruppo democratica, Anna Finocchiaro, ha assicurato a Berselli che non pretenderà il passaggio all'aula. Né altri sembrano orientati a farlo.
«Si torna in parlamento - dice il vicepresidente del Senato, Vannino Chiti - a discutere e questa volta, ci auguriamo, a prendere una decisione sulla questione della diffamazione. È bene ancora una volta sottolineare che il caso Sallusti ha certo più notorietà, ma è tutt'altro che isolato. Ce ne sono decine in Italia». Il senatore Pd cita quello del redattore del quotidiano Alto Adige Orfeo Donatini e del direttore all'epoca dei fatti Tiziano Marson, condannati a luglio in primo grado a 4 mesi per aver scritto nel 2008 che il consigliere provinciale Sven Knoll era stato ad un incontro neonazista. L'esponente del Sudtirol Freiheit non ha chiesto la rettifica, ma in udienza ha negato di aver partecipato all'incontro.
Nei due articoli del testo base del Senato, che modificano la legge del 1948 e il codice penale, per la diffamazione a mezzo stampa viene cancellata la pena detentiva e rafforzate quelle finanziarie, tra multa (almeno 5 mila euro), riparazione pecuniaria (minimo 50 mila euro) e risarcimento da definirsi caso per caso).
C'è poi la volontà di rendere più cogente l'obbligo di rettifica sugli organi di informazione.
Si pensa sia alla comunicazione al prefetto perché colpisca con sanzioni amministrative chi non lo rispetta, sia a sanzioni accessorie a livello disciplinare, per il giornalista condannato, dalla sospensione alla radiazione. Questo per bilanciare la libertà di stampa con il diritto alla tutela della reputazione, come ha sottolineato anche il ministro della Giustizia, Paola Severino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.