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Adesso ci tassano pure la pausa caffè

Dal 1° gennaio aumento del 6% sui prodotti dei distributori automatici per l'aumento Iva: pagheranno i consumatori

Adesso ci tassano pure la pausa caffè

Roma - Ci hanno impoverito l'antipasto, ci hanno smangiucchiato il cenone e ora ci rendono anche più amaro il caffè. Il Natale più disadorno degli ultimi trent'anni riserva proprio all'ultima fetta di pandoro un altro piccolo controregalo agli italiani: l'aumento del caffè del distributore automatico reso noto ieri da Confida-Confcommercio. Dal 1° gennaio sarà possibile aumentare fino al 6 per cento, anche in barba ai contratti stipulati, il prezzo di caffè, bibite e snack erogati dalle macchinette non solo nei posti di lavoro, ma anche in luoghi «protetti» come ospedali, caserme, scuole e altri edifici destinati alla collettività. Un ritocco che scaricherà di fatto sul consumatore l'aumento dell'Iva dal 4 al 10 per cento sul cosiddetto vending. E se le aziende del settore esultano, parlando di provvedimento equo, i consumatori borbottano, masticando amaro su probabili meno frequenti soste davanti alle erogatrici.
L'ammazzacaffè, come detto, arriva proprio in coda a un Natale che le cifre delle varie associazioni di consumatori addobbano di «meno» allineati come tante tristi lucine. Codacons parla di -8 per cento nei consumi natalizi e addirittura di un -15 per cento alla voce regali. «Complessivamente - afferma il presidente Carlo Rienzi - per i consumi natalizi diversi dagli alimentari, gli italiani hanno spesso 600 milioni di euro in meno rispetto al 2012 e ben 7,7 miliardi di euro in meno rispetto al Natale 2007, l'ultimo prima della grande crisi economica». Tra i settori più colpiti abbigliamento e calzature (-17), gli addobbi (-10), mentre hanno tenuto giocattoli, informatica, hi-tech e in parte anche quelli alimentari.
Su quest'ultimo punto non è d'accordo Coldiretti, che stima dell'8 per cento il calo di consumi sulle tavole natalizie. Gli italiani non hanno però ridotto le porzioni, limitandosi a ridurre sprechi e a scegliere menu più oculati. Il che non è necessariamente un male. «A prevalere - sottolinea Coldiretti - è stato il made in Italy: caviale, ostriche e Champagne sono praticamente scomparsi dalle tavole dove invece si sono affermati bollito, polli arrosto, cappelletti in brodo, pizze rustiche e dolci fatti in casa». La spesa complessiva per preparare il cenone della vigilia e il pranzo di Natale è stata di 2,3 miliardi di euro: 830 milioni per pesce e carne, 450 milioni per vini e bevande, 400 milioni per i dolci, 300 milioni di euro per ortaggi, conserve, frutta fresca e secca, 220 per pasta e pane e 100 milioni per formaggi e uova.
Altro studio angosciante quello di Federconsumatori-Adusbef, secondo cui una famiglia su cinque non ha fatto alcun regalo e la contrazione della spesa rispetto all'anno scorso è stata addirittura dell'11,4 per cento. Le due associazioni di consumatori individuano tre elementi tra quelli che hanno pesato maggiormente sulla crisi dei consumi di Natale, oltre allo scarso potere d'acquisto in genere delle famiglie: «l'aumento di disoccupazione: dal 10,7 del 2012 al 12,4 per cento attuale, con la cassa integrazione per 1 miliardo di ore; la difficoltà di molte piccole imprese che non hanno pagato, rinviandole ad altra data, le tredicesime mensilità; e le incertezze sui pagamenti delle varie tasse sulla casa». «È evidente - ammoniscono Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti - che di fronte a una situazione simile il governo non può rimanere inerte, deve avviare al più presto misure mirate per stimolare una ripresa della domanda di mercato e degli investimenti per lo sviluppo e la ricerca, fondamentali per rilanciare l'occupazione, soprattutto quella giovanile, oltre a maggiore chiarezza e ridimensionamento delle tassazioni».

Ah, a proposito: ancora buon Natale.

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