Non posso crederci, non voglio crederci. Digerisco tutto, come gli struzzi, tranne che il surreale. Mi riferisco alla vicenda di Bartolomeo Gagliano, 55 anni, un curriculum criminale che fa pensare alla pazzia. Succede sempre così. Quando non riusciamo a comprendere certi fatti, ci viene comodo supporre che siano stati commessi da gente con qualche filo staccato. Ma in questo caso si tratta eventualmente di follia collettiva, meritevole di una riflessione.
Gagliano è un sanguinario che ha assassinato tre persone con la stessa disinvoltura crudele e incosciente con la quale una persona normale schiaccia - per legittima difesa - tre zanzare. Non pago, egli ha ferito, stuprato e, per non farsi mancare niente, rapinato. Ovvio che la sua dimora non possa essere che il carcere: massimo della pena, non ho osato scrivere «fine pena mai» perché l'ergastolo ripugna eticamente e persino esteticamente.
In effetti, costui sino ad alcuni giorni fa era in galera, a Genova. Poi usufruisce di un permesso premio, di quelli previsti dalla legge Gozzini, e se ne va a Savona per visitare la madre, così dicono. Ma invece di rientrare in prigione alla scadenza della «vacanza», delinque (rapina a mano armata: chi gli ha dato la pistola?) e sparisce. Evasione. Il braccialetto? Non glielo avevano messo, forse non lo meritava.
Come avrete intuito, non sono contrario a un trattamento civile dei detenuti. Non stupisce che un farabutto il quale si sia comportato correttamente dietro le sbarre venga trattato umanamente. Ci mancherebbe. Nella fattispecie, tuttavia, c'è qualcosa che non quadra. Le cronache riferiscono che il soggetto in questione avesse già avuto una licenza premio senza creare guai. Motivo per cui - pare - il magistrato di sorveglianza addetto ai controlli non si è opposto a una seconda uscita di Gagliano. Raccontata in questa maniera, la storia non sorprende. In realtà quel che c'è dietro fa venire i brividi. Il direttore del carcere - a suo dire - non era al corrente che il detenuto del quale discettiamo fosse un pluriomicida, ritenendolo un semplice rapinatore, per quanto un rapinatore possa essere semplice. Pertanto non ha fatto una piega quando ha dovuto riferire il proprio parere favorevole al magistrato di sorveglianza, l'ultimo a decidere in materia di permessi premio.
Lo stesso magistrato, secondo le notizie in nostro possesso (e forse sono incomplete), compulsate le carte sottopostegli, non ha scoperto altre informazioni tali da sconsigliargli la concessione del «regalo» al richiedente. Insomma, dal fascicolo non risultavano i turbolenti trascorsi del carcerato. Poi è scoppiata la bomba. Ed è scoppiata soltanto quando il bue era fuggito dalla stalla ossia nel momento in cui Gagliano, invece di ripresentarsi puntuale nel penitenziario, se ne è andato per i fatti suoi, insalutato ospite. Solo allora è venuto fuori che l'evaso era un fior di delinquente. Le sue specialità: uccidere, sparare, stuprare, rapinare.
Domanda: ma è lecito che il direttore del carcere ignorasse i precedenti di questo individuo? Ed è normale che il magistrato chiamato a deciderne le sorti abbia esaminato documenti privi dei dati, diciamo pure salienti, riguardanti la persona sottoposta al suo giudizio? Speriamo di sbagliarci. Ma se le cose stanno come ve le abbiamo narrate, siamo di fronte alla prova provata che il nostro Paese è irrecuperabile.
Imbarazzato quanto sono, non saprei a chi si possa attribuire la responsabilità di una simile schifezza: alle leggi, all'intreccio burocratico che complica l'attività giudiziaria nelle sue mille sfaccettature, ai giudici incaricati di amministrare le strutture penitenziarie sovraffollate? Probabilmente gli «attori» delle grottesche inefficienze non pagheranno
per la loro dabbenaggine. Finirà come sempre: tutti colpevoli, nessun colpevole. Il potere legislativo assisterà inerte anche all'ultimo scandalo, fiducioso che tra qualche giorno non se ne discuta più. Fino al prossimo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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