Il barista cinese chiede sussiegoso: Dottole, vuole la tessela Vip? Noi, perplessi, rispondiamo inorgogliti: «In cosa consiste la tessera Vip?». E lui: La tessela plevede un caffè glatis per ogni 10 caffè pagati... Ok, ma che c'entra il «Vip»? Nulla, è solo per fare scena. Perché - sotto sotto - più siamo Norm e più vorremmo essere un po'Special. E allora ecco moltiplicarsi gli ingressi exclusive (anche al Circolo parrocchiale), gli inviti reserved (anche alla trattoria «da Giggi er puzzone»), le svendite limited edition (anche alla bancarella del mercato rionale). Ma è sul cellulare e sull'iPhone che si scatena una battaglia senza esclusione di app (sta per «applicazioni», ignoranti...) tra Vip autentici, Vip potenziali e Vip tarocchi. I giganti della telefonia mobile hanno annusato il trend, e ora ci danno dentro che è un piacere: c'è chi ha studiato un'apposita «Vip rubrica», chi addirittura ha previsto un codice supplementare per contattare una serie di personaggi famosi che hanno chiesto (e ottenuto) un supernumero a prova di privacy. Telefonini a misura di gente che «può» anche rispetto all'Oroscopovippando, le prime previsioni zodiacali riservate a chi «si sente un Vip»; attenzione, per accedere al servizio basta «sentirsi un Vip», mica esserlo veramente).
Perfino nei maggiori parchi-divertimento d'Italia ormai c'è la fila per i comuni sfigati e la «fila-veloce» per i «soci Vip»: basta mollare 10 euro all'ingresso, ritirare il «pass Vip», e conquistare così il diritto a sorpassare la coda, come nella migliore tradizione italiana.
Quando è tempo di saldi, poi, tra i negozi è ormai abitudine dare la priorità ai clienti della Vip list costantemente aggiornata al fixing della vippaggine. Un capitolo a parte lo meritano le manifestazioni sportive, vera Eldorado dei Vip con tanto di tessera, tribuna e bar: tutti ovviamente Vip. Quando quest'anno - in tempi di spending review - qualche club si è azzardato a ridurre gli accrediti Vip, l'esercito delle very important person si è fatto prendere dalle convulsioni, riottenendo a furor di popolo (popolo Vip ovviamente) il ripristino di tutti privilegi, compreso il cuscino foderato sulla poltroncina e la bibita pagata alla bouvette dello stadio.
Il mondo del commercio ha individuato nel settore Vip una vena aurifera praticamente inesauribile; si spiega anche così la moltiplicazione dei prodotti in limited edition, con effetti spesso tragicomici: sugli scaffali spuntano infatti come funghi appaiono perfino fazzolettini di carta in limited edition, al pari dei confettini per l'alito, delle scatolette di carne, del dentifricio, della birra e (per gli astemi) dell'acqua minerale.
Un fenomeno, questo della sindrome del Vip, che sembra andare di pari passo con un'altra tendenza che la dice lunga sul sogno di tanti (troppi) italiani di apparire quello che non sono. Ci riferiamo alla voglia matta di nobiltà. L'Italia, infatti, oltre ad essere un Paese di santi, navigatori e ct della nazionale, è pure una nazione di aspiranti conti, duchi e marchesi. Circa 20 mila persone all'anno si sbattono come pazzi alla disperata ricerca di una trasfusione di sangue (blu). Roba costosa. E chi non può disporre di grandi somme? Può sempre ripiegare su quei banchetti presenti nelle feste patronali che, in cambio di pochi euro, ti stampano un «attestato» col tuo cognome, «garantendo» che la tua famiglia è imparentata alla larga - ma molto alla larga - con quella dei Windsor. Patacche, certo. Ma la «sindrome di Lord Brummell» è dura a morire.
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