T roppa fretta. Col rischio di bruciare un'inchiesta proprio nel momento più delicato. La procura di Bergamo non celebra il successo, non posa per la foto di gruppo, non brinda alla soluzione del caso più cupo e intricato di cronaca nera degli ultimi anni. Al contrario: dopo quasi quattro anni di lavoro a testa bassa, la magistratura polemizza direttamente con il ministro dell'Interno. È uno scambio di colpi molto duro, quasi si trattasse di un clamoroso insuccesso. Lunedì pomeriggio Angelino Alfano rompe il silenzio che avvolge la cattura di Massimo Giuseppe Bossetti e si appende di volata la medaglia sulla casacca di ministro dell'Interno. A Bergamo ci restano di sasso e vanno su tutte le furie. Il procuratore Francesco Dettori esprime il proprio rammarico, ma ormai la frittata è fatta. Del resto Alfano non arretra e rivendica il diritto «dell'opinione pubblica a sapere».
Tutto comincia quando Alfano buca il muro del riserbo e lancia la notizia clamorosa: «L'assassino di Yara è stato catturato. Grazie a tutti». Un comunicato dirompente che spazza via le nuvole nerissime di uno dei delitti più sconvolgenti avvenuti nel nostro Paese. Piccolo particolare, Bossetti è appena stato fermato, tecnicamente non si tratta neppure di un arresto, la storia è ancora in pieno svolgimento e tutto può succedere. È vero, gli indizi o meglio, le prove raccolte contro di lui sono pesanti, ma da qui a dichiarare chiuso il caso come se si trattasse della cattura di un boss di mafia, Totò Riina o Bernardo Provenzano, ce ne corre.
Alfano scalpita. Forse troppo. Del resto non capita tutti i giorni di catturare l'autore di un crimine così odioso. E Alfano, in difficoltà con l'operazione Mare nostrum e lo sbarco di centinaia di migranti, vuole passare all'incasso. Dunque, Francesco Dettori dal suo ufficio di Bergamo lo bacchetta: «Era intenzione della procura mantenere il massimo riserbo». Altro che fanfare e squilli di tromba. Meglio procedere sottotraccia, in attesa del consolidamento dell'inchiesta. «Questo - aggiunge polemico Dettori - anche a tutela dell'indagato in relazione al quale, secondo la Costituzione, esiste la presunzione di innocenza». Anche se poi il procuratore, col passare delle ore, si fa più diplomatico e frena: «Nessuna polemica col ministro, ma questa situazione non mi è piaciuta». Per il magistrato, dunque, la corsa contro il tempo del ministro è un atto temerario, un azzardo che rischia di avere contraccolpi negativi.
Alfano però non sembra accusare il colpo e replica: «L'opinione pubblica ha diritto di sapere e ha saputo. Credo che questo sia un elemento di rassicurazione. L'opinione pubblica - prosegue il leader Ncd - una volta di più ha chiaro come lo Stato vinca e chi delinque o uccide perde». Non basta. Il titolare dell'Interno non si limita ad un ragionamento generico e imbevuto nella retorica, ma va ben oltre e punge la magistratura bergamasca nel vivo: «Non avendo io divulgato alcun dettaglio penso che il procuratore di Bergamo non si riferisse a me, ma penso che dovrà chiedersi chi ha inondato il mondo dei mass media di una quantità infinita di informazioni e dettagli. Certamente non è stato il governo, tantomeno io».
Il duello, dunque, va avanti e nemmeno nel giorno del successo le diverse istituzioni che hanno lavorato fianco a fianco per snidare il killer dei killer trovano il modo di farsi fotografare tutte riunite allo stesso tavolo. Ciascuno viaggia per conto suo. E l'irrefrenabile Alfano non lascia cadere nulla della polemica e su Twitter trova il tempo per calibrare anche i dettagli, nell'ennesima puntata del confronto a distanza: «Ovviamente la presunzione di innocenza vale per tutti». Ma il senso delle affermazioni va letto fra le righe: siamo davanti a un pericoloso assassino, un bruto che seminava angoscia in tutte le case perbene d'Italia, e allora le solite cautele possono pure saltare.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.