«Tutti gli zar sono autocrati e nessuno ha il diritto di criticarli. Il monarca può esercitare la sua volontà sugli schiavi che Dio gli ha dato. Se non obbedite allo zar quando egli commette uningiustizia, dannate la vostra anima». Con queste liberali premesse, elaborate cinque secoli fa da Ivan il Terribile, il futuro che attende lEuropa è quantomeno incerto. E quello che attende noi, che studiamo da euro-schiavi, non è per niente roseo.
La prospettiva, evocata dal tedesco Wolfgang Schäuble, di istituire uno «zar dei conti europei» per salvare la moneta unica, mette a soqquadro la storia continentale. Proviamo a immaginare. Nella Parigi del 1951 il tedesco Adenauer, il francese Schuman, litaliano Sforza e i leader del Benelux stanno per firmare il trattato di nascita della Ceca, la comunità del carbone e dellacciaio «prozia» della Ue. La guerra è un ricordo recente, la voglia di cooperare muove le montagne. In quel momento, un uomo arrivato dal 2012 si avvicina e profetizza che lEuropa che stanno per creare sarà salvata un giorno da uno zar. Facile immaginare per quelluomo linternamento al vicino manicomio dellEsquirol.
Eppure la storia di questo continente fratricida e schizofrenico, dove le risibili distanze geografiche sono inversamente proporzionali agli attriti ideologici, sembra andare in questa direzione. Sessantanni di trattati, comunità economiche, mercati uniti, Maastricht, frontiere aperte e moneta unica dovevano finire così: con il ritorno alla figura simbolo del dispotismo. Mezzo secolo passato a creare parlamenti e consigli, a inventare istituzioni, a redigere statuti e costituzioni, a imparare ad orientarsi - atlante alla mano - tra Bruxelles, Strasburgo e Schengen, per finire poi idealmente al Palazzo dInverno di San Pietroburgo. Alla faccia del primaverile e sereno cielo stellato che campeggia sulla bandiera europea.
Si obietterà che Schäuble, con il termine «zar», non intendeva un successore in doppiopetto e Ipad di Pietro il Grande, bensì una versione nostrana degli czar americani: commissari governativi che sovraintendono a settori cruciali delleconomia o della società (czar dellauto, dellenergia, del bilancio): un supertecnico, insomma. Epperò la sostanza è la stessa. Zar deriva dal latino caesar, imperatore. Stesso etimo da cui deriva il tedesco kaiser. Dato che al momento in giro per lEuropa le quotazioni di simpatia della Germania non sono al top, Schäuble ha saggiamente evitato riferimenti allimperialismo teutonico, virando sulla metafora russa. Ma zar o kaiser o führer poco cambia: per salvare leuro occorre una figura di autorità monocratica ed esemplare, rigida e decisionista, imposta più che eletta. Anche se magari eviteremmo volentieri la definizione di zarismo data da Münster: «Assolutismo temperato dallassassinio».
Daltronde, se lultimo zar Nicola II Romanov aveva ragione e «i forti non hanno bisogno del potere, mentre i deboli ne vengono schiacciati», questa Europa anemica ha già dimostrato di non saper reggere il peso delle decisioni. E di necessitare per questo di una stampella. Certo, se per rialzarsi ha bisogno di tornare indietro di un secolo e di rinnegare la sua stessa ragione sociale di democrazia e libertà, forse è il caso di fermarsi un attimo a riflettere.
Anche perché la parabola dellultimo zar non rappresenta un precedente felice. Nicola II, infatti, fu accusato di essere un burattino nelle mani di Rasputin, il monaco-stregone che riuscì a plagiare la famiglia imperiale. Un po come la Merkel sta influenzando lintera Europa.
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