RomaC'è la tela di Penelope, che disfaceva di notte quello che tesseva di giorno; e la tela della sinistra, che negli ultimi diciotto anni ha sempre in qualche modo sfasciato, oppure stravolto, oppure svuotato quanto tessuto con mille difficoltà dal centrodestra. Vale la pena ricordare qualche caso esemplare, ora che il Pd cerca di accreditarsi come forza riformista e modernizzatrice agli occhi dell'opinione pubblica e soprattutto degli imprenditori.
Il primo sabotaggio avvenne con il primo governo Berlusconi, nel 1994, che sette mesi dopo l'insediamento fu impallinato dal fuoco amico della Lega proprio a causa dell'ambiziosa riforma delle pensioni invisa al Carroccio. Una riforma, quella previdenziale, che il Cavaliere avrebbe sempre rimpianto: sospensione dei pensionamenti d'anzianità, stop ai pensionamenti anticipati, riduzione dal 2 all'1,75 per cento del coefficiente di rendimento dei contributi. Berlusconi fu poi costretto alla marcia indietro a causa della grande manifestazione del 12 novembre a Roma, orchestrata dalle sinistre, e poco tempo dopo lasciò Palazzo Chigi in rotta con la Lega. Mesi dopo Lamberto Dini, già ministro del Tesoro nel governo Berlusconi, da premier di un pasticciato governo semitecnico, vara una diversa riforma delle pensioni che di fatto opera la rivoluzione dal sistema retributivo a quello contributivo. Molti analisti ancora oggi sostengono che se il governo Berlusconi avesse avuto la forza di portare a termine la sua opera oggi la spesa pensionistica graverebbe infinitamente meno sul pil.
Qualche anno dopo. È il 2003. Il governo Berlusconi-bis vara la cosiddetta legge Biagi, modellata sull'opera del giuslavorista ammazzato pochi mesi prima dalle Nuove Brigate Rosse per riformare il lavoro in Italia in nome della flessibilità: sarà poi stravolta in più occasioni, l'ultima dal governo Monti. Nel 2006 è la volta della riforma costituzionale in senso federalista varata dal governo Berlusconi-ter a fine legislatura: gli allora Ds e tutta la sinistra usano lo strumento del referendum costituzionale confermativo (il secondo della storia repubblicana) per sbianchettare con il 61,3 per cento di sì la complessa architettura che tra le altre cose avrebbe devoluto molte materie alle Regioni, avrebbe posto fine al bicameralismo perfetto, avrebbe ridotto il numero dei parlamentari e aumentato i poteri del premier. Come non detto.
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