Anche internet inquina Navigare «brucia» oltre 30 miliardi di watt

Amazon accusato di violare norme ambientali. Facebook e Google hanno già dovuto riprogettare i loro impianti

Navigare su internet con un tablet
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In principio fu la Silicon Valley. Al Bengodi dell'informatica e degli informatici di tutto il mondo tutto sembrava bello, nuovo, pulito.
Già, pulito. Questa fu la delusione che arrivò, dopo lo sfavillante «principio» che faceva, e, forse a molti, fa ancora sognare una nuova, ancorché virtuale salvezza dei popoli. Dopo i sogni, dunque il brusco risveglio. L'informatica inquina, i computer inquinano, internet inquina. Lo scopre o, forse sarebbe meglio dire, lo riprende a sua volta dal Time, con grande enfasi, partendo dalla sua prima pagina l'Herald Tribune in cui ci fa sapere che i computer sparsi per il mondo consumano qualcosa come 30 miliardi di watt di elettricità che, pesati sulla bilancia dell'inquinamento, sono, secondo gli esperti, l'equivalente delle immissioni di 30 impianti nucleari. Per questo motivo, rivela il quotidiano, gran parte dei Data Center di Silicon Valley sono finiti nel Toxic Air Contaminant Inventory, che sarebbe la lista nera delle aziende cui il governo federale contesta la violazione delle leggi a tutela dell'aria e dell'energia pulita.
I dati raccolti dagli esperti della McKinsey & Company sono ancora più allarmanti se si considera che, da quanto emerge, quasi tutte le aziende, che vivono d'informatica e con l'informatica, consumerebbero per la loro «produzione» solo una percentuale che oscilla dal 6 al 12 per cento e tutto il resto, il resto dell'energia, verrebbe letteralmente «buttata» solo per garantire agli utenti delle aziende stesse di poter contare sempre su una pronta risposta alla loro domanda di «navigazione» nel momento in cui si clicca su un determinato sito. Almeno una dozzina di Data Center sono stati citati per violazioni alle leggi di tutela ambientale, soprattutto negli Stati della Virginia e dell'Illinois. Giusto per citare un nome internazionalmente conosciuto, ad Amazon sono state contestate soltanto in questi tre anni ben 24 violazioni. Ma bisogna anche prender nota del fatto che un bel gruppetto di compagnie, altrettanto conosciute dagli internauti di ogni luogo, come Google e Facebook hanno dovuto correre ai ripari arrivando a ridisegnare e a riprogettare i loro impianti e i loro server di distribuzione per raffreddare la dispersione di energia e abbassare il livello di inquinamento. Il Data Center di Google consuma 300 milioni di watts e quello di Facebook 60 milioni di watts: il grande problema dell'inquinamento ha quindi cominciato a porsi nel momento in cui le aziende internettiane sono cresciute in modo esponenziale. Nel 1998 erano 432 i Data Center, censiti dal governo federale americano ma nel 2010 erano già arrivati a 2094. In buona sostanza, se è vero che anche noi facciamo la nostra parte di «inquinatori», in ossequio al nuovo imperativo del secolo: clicca e naviga, è pur vero che la dispersione di energia, le emissioni incontrollate e incontrollabili (perché sulla questione regna comunque un certo segreto) sono in gran parte da ricercarsi oggi, laddove cominciò tutto. Nei quartier generali dei nostri, oramai abituali, interlocutori quotidiani: Google, Yahoo, Facebook, Twitter, Paypal, I tunes, Amazon. Oltre a naturalmente i siti delle banche con cui oramai facciamo operazioni e bonifici, e ai siti dei nostri hobby, dove facciamo le nostre compere online.


Ricordate quando si fantasticava sul fatto che la schermata di home page di Google essendo bianca e troppo luminosa, faceva consumare più energia nel nostro computer? Qualcuno sorrideva. Ma, forse, col tempo ci si è fatti prendere la mano. Dal clic.

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