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Assalto di Ilda al Cavaliere: è la guerra dei vent'anni

La Boccassini domani chiederà la condanna: è l'epilogo dello scontro iniziato nel '95. Il Cav apre casa alle telecamere di Canale 5: ecco i luoghi delle serate, tutto lecito

Assalto di Ilda al Cavaliere: è la guerra dei vent'anni

Milano - Perché lei? Perché sarà proprio Ilda Boccassini, domattina, a prendere la parola davanti al tribunale di Milano per la requisitoria contro Silvio Berlusconi nel processo Ruby? La risposta è meno ovvia di quanto appaia. Il Cavaliere è accusato di concussione e prostituzione minorile. Il primo è un reato contro la pubblica amministrazione, il secondo ai danni dei cosiddetti «soggetti deboli». Nessuno dei due reati è di competenza della Procura distrettuale antimafia. E allora cosa c'entra la Boccassini, capo del pool antimafia? Perché è stata lei a dirigere le indagini, e perché sarà lei domani a tirarne le fila? Il capo della Procura, Edmondo Bruti Liberati, a suo tempo, si arrampicò sugli specchi per spiegare la cosa, affermando che insomma, il fascicolo era del pm Antonio Sangermano, passato nel frattempo alla procura antimafia, e che per questo anche l'indagine finì nelle mani della dottoressa. Meccanismo che sarebbe bizzarro, e infatti in molte altre indagini non risulta applicato.

E allora? La verità è semplice, e a Palazzo di giustizia la sanno tutti. Ilda Boccassini ha voluto che il fascicolo le venisse assegnato perché riteneva di essere l'unica in grado di portarlo fino in fondo. Solo lei riteneva di avere la determinazione sufficiente a inchiodare Berlusconi alle sue colpe, solo lei i contatti e l'autorevolezza necessari per chiedere alla polizia gli uomini e i mezzi indispensabili alle indagini. Esattamente la stessa cosa accadde nel 1995, quando la dottoressa tornò da Palermo a Milano appena in tempo per scoprire che la Procura aveva iniziato a raccogliere le deposizioni di Stefania Ariosto, la «teste Omega» del caso Mondadori. Andò su tutte le furie, ottenne che il fascicolo le venisse assegnato. E del fatto che alla fine il Cavaliere se la cavò diede la colpa ai colleghi, che non avevano iniziato per tempo i pedinamenti.

Stavolta ha giurato a se stessa che non sarebbe finita allo stesso modo. Non siamo di fronte ad un caso di competenza ad personam, che sarebbe illecita. Ma di sicuro ad uno scontro frontale che dura ormai da più di tre lustri tra Silvio Berlusconi e la Procura di Milano, e di cui Ilda Boccassini si perse solo la prima puntata, il famoso avviso di garanzia del 1994 a Napoli, perché era in Sicilia a dare la caccia agli assassini di Falcone. Ma dall'anno dopo, quando torna a Milano, è lei a impersonare - per sua scelta, e nell'immaginario collettivo della nazione oltre che negli atti giudiziari - l'assedio giudiziario al Cavaliere. Da questo punto di vista, è inevitabile e forse anche giusto che sia lei tra poche ore a impugnare il microfono della requisitoria, atto finale di questa guerra dai tempi ormai omerici.

Questa sera Canale 5 manda in prima serata uno special sui vent'anni dei processi a Berlusconi. È una scelta di informazione ma anche di combattimento, alla vigilia della requisitoria di Ilda e all'indomani della manifestazione di Brescia. Berlusconi ha voluto che le telecamere entrassero nella sua casa, filmassero il tavolo delle cene eleganti, quello dove secondo la Procura passava di mano la statuetta fallica di cui si sono perse le tracce; che i cameramen entrassero nella discoteca, quella del palo della lap dance di cui hanno parlato le testimoni più agguerrite, e nel teatro dove nei dopocena si esibivano la Minetti vestita da infermiera e la Berardi con la maschera di Ronaldinho. Dettagli che il Cavaliere non nega, e che riconduce però nell'ambito dello svago lecito ed innocente tra adulti: «Alle cene non poteva succedere nulla che potesse essere definito scorretto e imbarazzante - racconta Berlusconi nell'intervista a Canale 5 - a nessuno mai fu chiesto di lasciare il telefonino, tutti potevano fotografare e raccontare perché non c'era alcunché di non raccontabile».

Quanto quei dopocena fossero invece per la Procura penalmente rilevanti, perché tesi comunque a esaudire la «concupiscenza sessuale» del padrone di casa, lo ha già spiegato nella prima puntata della requisitoria il pm Antonio Sangermano. Domani la Boccassini tirerà le fila, parlando della telefonata in questura per liberare Ruby: e d'altronde per la Procura un reato tira l'altro, perché la telefonata dimostra quanti e quali danni il premier temesse dall'esplosione del caso. Che Ruby - come sempre, e come anche nell'intervista a Canale 5 - continui a dire «non mi sono mai prostituita e non ho mai avuto rapporti sessuali con Silvio Berlusconi» è per Ilda Boccassini solo la riprova del potere di condizionamento dell'imputato: e che è per lei l'ennesima faccia di un potere che si muove da sempre fuori dalle regole, nei rapporti con i giudici, con il fisco, con la finanza, con la politica, financo con gli esseri umani. Di questo, in fondo a vent'anni che possono essere letti come un unico grande processo, Ilda Boccassini accusa in sostanza Silvio Berlusconi.

E di questo, in fondo, si prepara domani a chiedergli conto.

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