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Assolto dopo 12 anni "Che condanna l’attesa"

L’ingegnere sotto accusa per il terremoto "Avvilente il senso di impotenza"

Assolto. Assolto. Assolto. Dodici anni sulla gogna mediatica per nulla, dal 2010 al 2022. Una ingiusta detenzione irreparabile con gli spicci decisi dallo Stato, una reputazione demolita dopo cinquant'anni a costruire opere che tengono in piedi il Paese. L'ingegner Carlo Strassil è il quinto ingegnere europeo per opere progettate e realizzate, dalla china della matita fino all'ultimo colpo di cazzuola, una su tutte l'Alta Velocità Firenze-Bologna. Eppure è stato trascinato sui giornali in un cortocircuito mediatico-giudiziario dettato da faide locali alle quali era estraneo. In ballo il sisma dell'Aquila, famiglie storiche e politici nazionali. Tra udienze rinviate e patologie del sistema sono passati 12 anni, con la prescrizione comoda soluzione per inchieste fragili. Nel frattempo Strassil è stato in carcere ed agli arresti domiciliari, sospeso dall'Albo, i suoi crediti con lo Stato congelati e senza più il Nulla osta di sicurezza da progettista e collaudatore di carceri e caserme. A L'Aquila era accusato di falso ed abuso d'ufficio lavori pubblici postsisma: «Il fatto non sussiste». Ed è per questo che si è rivolto alla Corte di Appello per essere indennizzato per l'ingiusta detenzione patita, con la Cassazione che rivendica un indennizzo molti più alto rispetto al pattuito. A Pescara invece i pm gli contestavano corruzione e illeciti amministrativi, sia a lui che al figlio Sergio attraverso le rispettive società. Ma il Tribunale non ha rilevato alcuna sussistenza né della corruzione né degli illeciti. In molti casi si trattava di «illazioni», come dice la sentenza di assoluzione. Una luce, dopo tanta sofferenza.

Che cosa ha provato?

«È stato veramente avvilente e doloroso. Ho provato un senso di impotenza. Io, abituato a decidere, non ho mai potuto oppormi e confutare accuse piovute addosso all'improvviso. Seguendo il procedimento, questo sentimento è ancora aumentato. Mi sono sentito scoperto, indifeso e travolto da questa macchina della giustizia con regole e binari rigidi che stentavo a comprendere».

Si è difeso?

«Ci ho provato, ma ho avuto subito l'impressione che l'accusa non si aprisse ad un confronto, ma si arroccasse su dei propri convincimenti, nonostante la materia fosse particolarmente tecnica e difficile da capir per i non addetti ai lavori».

Rischiavano smentite ai teoremi?

«Non lo so. Mi sono sentito consumato dall'impossibilità di esprimermi e di dover ascoltare temi ed argomenti palesemente fuorviati e fuorvianti, dettati da una interpretazione a mio parere viziata sin dall'origine».

E il tempo passava

«Ho avuto l'impressione che il parametro tempo non assumesse di fatto un valore rilevante. Anzi, sembrava quasi che fossi solo io a voler accelerare la chiarificazione, ma mi muovevo in un sistema i cui tempi sono incompatibili con la voglia di risposte rapide».

Ritiene ci sia stato un accanimento nei suoi confronti?

«Devo dire che mi è scattato anche il sospetto di essere inviso agli inquirenti, che forse vedevano in me un professionista affermato e che in quanto tale non poteva che essere giunto a quel livello attraverso condotte poco commendevoli o scorciatoie».

Alla fine però la verità è venuta fuori, ed è quello che conta...

«I miei legali mi hanno detto: Aspetta e dimostreremo la tua innocenza. E io ho aspettato 11 anni. Solo nel 2021 siamo riusciti a concludere l'ultimo processo, chiarendo completamente le vicende.

Ma la vera condanna è stata l'attesa, il tempo trascorso nell'angoscia e nell'impossibilità di tornare indietro».

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