Basta fare gli amici il bullo si raddrizza ritornando genitori

di Cristiano Gatti

Gira nel cortile con la scopa e il badile in mano. Pulisce, raccatta rifiuti, mette ordine. Sta scontando una pena, ma non è a Sing Sing e neppure a San Vittore: è nella sua scuola, la media Cordenons a Santa Maria di Sala, nel Veneziano. In altre epoche, in un'altra Italia nemmeno tanto lontana nel tempo, il condannato pagherebbe la sua colpa fuori da questo cortile, contando i giorni della pesante sospensione. Stavolta va diversamente: viene impiegato in lavori socialmente utili. La pena alternativa è caldeggiata dal preside, dagli insegnanti, ma soprattutto dai suoi genitori. Non è la prima volta che succede in Italia, la novità non è questa. La vera novità è che qui come altrove padri e madri non coprono più a prescindere la creatura, ma accettano finalmente di considerare una seconda ipotesi. Questa: l'edificante punizione può servire più delle arringhe difensive a prescindere, quel disco ben noto del giù le mani da mio figlio, è la scuola che non sa fare il suo mestiere, e occhio a quello che fate perché chiamo subito il mio avvocato.
Ovviamente è troppo presto per dire che nelle famiglie qualcosa sta cambiando davvero. Che l'atteggiamento iperprotettivo e alla fine colpevolmente complice sta virando all'indietro, con un brusco ritorno ai tempi di un'altra infanzia, quando i piccoli italiani nemmeno osavano raccontare a casa d'essere finiti sotto punizione, magari pure corporale, nella certezza di incappare seduta stante in un'altra razione di sberle, prima ancora di riuscire ad abbozzare una spiegazione. Non siamo ancora a questi punti, troppa acqua è passata sotto i ponti e altro tempo servirà per ripristinare un sano equilibrio, senza sberle a prescindere, ma anche senza coperture, giustificazioni e assoluzioni a prescindere.
Ad ogni modo sono già evidenti i primi segnali di rinsavimento collettivo: per quanto la scuola resti ancora popolata di insegnanti che hanno sbagliato mestiere, comunque un'esigua minoranza, per quanto i metodi educativi restino in troppi istituti ingessati e anacronistici, va salutato con rassicurante stupore il ritorno a un apprezzabile livello di buonsenso, al semplice buonsenso per accettare la scomoda ipotesi che a sbagliare possa essere persino nostro figlio. E se il ragazzo sbaglia, in qualche modo va indotto ad assumersene le responsabilità. Non deve più passare l'idea che possa fare il deficiente a tutte le ore e a tutte le età perché tanto a casa c'è sempre qualcuno pronto a giustificare, a proteggere e puntualmente a cavare fuori dai guai.
Storicamente, la scuola infligge la sospensione come pena estrema, dopo i livelli inferiori del richiamo, della nota, dell'udienza coatta dal preside. Però la sospensione, questa sì, è una pena decisamente obsoleta. Gretta e inutile. Per molti giovani di una certa risma, è una vacanza inattesa e per questo ancora più gradita. Meglio, molto meglio impiegare la soluzione alternativa: quelli che con ironia giustizialista chiameremmo lavori forzati, ma che in realtà sono un modo concreto di pesare per bene le proprie azioni e pagare le inevitabili conseguenze. Molti cortili di molte scuole sono ormai ripuliti dai giovani condannati. Molti bagni e molti muri vengono tirati a lucido. Altro che settimana bianca fuori programma.
Certo non è facile per le mamme Amuchina di oggi accettare tranquillamente l'idea che il loro giovane operatore ecologico stia intere mattinate con le mani nella monnezza. Ma è un trauma che devono sopportare. Per il bene del loro ragazzo, per il bene dell'intera famiglia.

Un po' di sano lavoro come sovrapprezzo alle idiozie, alle bravate, ai bullismi dilaganti non può che aiutare a rimettere un po' di cose a posto, nell'edificio scolastico certo, ma soprattutto dentro il sistema di valori e di comportamenti delle età evolutive. Può essere il primo passo verso un armonico concetto di paese normale. Quel paese normale che non troveranno da adulti, ma questo è tutto un altro discorso.

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