«Basta guerra dello Stato alle imprese»

Vincoli ambientali, burocrazia e inosservanza delle direttive Ue hanno immobilizzato, negli anni, l'Italia. Da una parte le industrie, alle prese con «regole» che ne hanno condizionato lo sviluppo, dall'altra la Pubblica amministrazione che continua ad avere, con le imprese, un rapporto conflittuale. «In Italia - spiega Corrado Clini, tornato a ricoprire il ruolo di direttore generale del ministero dell'Ambiente, dopo la parentesi da ministro nel governo Monti - esiste una cultura della protezione dell'ambiente che interpreta, in modo restrittivo e a volte distorto, le direttive Ue. La maxi-richiesta di accantonamento ad Autostrade, nel caso specifico, promossa dal ministero, riguarda una procedura che fa riferimento a una norma e a una prassi oggetto di procedure d'infrazione da parte di Bruxelles». Clini, in questa intervista, mette in luce le contraddizioni che da anni impediscono il raggiungimento di un equilibrio tra sviluppo industriale e delle infrastrutture con le necessità di salvaguardia ambientali.
Che cosa dice, in proposito, l'Unione europea?
«Lo Stato deve preoccuparsi di far risananare l'ambiente. E non deve avere come obiettivo il risarcimento in denaro di un presunto danno ambientale. Le norme seguite in Italia vanno, invece, in una direzione diversa da quella Ue».
In uno dei suoi ultimi atti da ministro dell'Ambiente, lei ha cercato di porre rimedio a questa stortura.
«Nella legge che recepisce le direttive Ue abbiamo inserito una norma per chiarire che, nella valutazione del danno ambientale, causato da attività industriali, deve prevalere l'indicazione delle azioni di riparazione ambientale».
E di mezzo ci sono andate le Autostrade.
«Se Ispra e gli uffici del ministero avessero informato il gruppo in questione sulle attività da mettere in atto per risanare l'ambiente, prescindendo dal loro valore economico, sarebbero stati coerenti con le direttive Ue. La richiesta, invece, di accantonare fondi sul bilancio, va contro le norme Ue e, inoltre, incide sul mercato finanziario visto che il soggetto in questione è quotato».
Tutto corretto, però di passi avanti non se ne vedono.
«Mi auguro che il Parlamento approvi in fretta la legge “salva infrazioni”. Ne sortirebbe un cambio di atteggiamento dello Stato, finalizzato a ottenere che le imprese che hanno causato danni all'ambiente si impegnino a risanare piuttosto che ad accantonare capitali».
Di danni, questa stortura, ne ha causati al sistema economico e industriale del Paese.
«L'attitudine della burocrazia ambientale all'allungamento delle procedure autorizzative e di controllo, combinata con la ricerca da parte delle imprese di “scorciatoie” per ridurre i contenziosi, è all'origine di molte vicende “opache” che pesano sull'affidabilità del Paese. Senza contare i danni economici: dietro la vicenda Autostrade c'è il blocco di almeno 6 miliardi d'investimenti».
L'opposto di quando accade a livello europeo.
«Le regole Ue raccomandano, ai fini della protezione dell'ambiente, la collaborazione tra il sistema delle imprese e l'Amministrazione al fine di ottenere il migliori risultato».
E qui si inserisce il caso Ilva.
«Sul caso Ilva ho applicato rigorosamente la direttiva Ue, individuando le soluzioni tecnologiche che dovevano essere adottate per il risanamento. In cinque mesi si è così riusciti a chiudere la procedura di autorizzazione sulla base di un negoziato. Ora l'impianto comincia a investire avendo, come riferimento, le migliori tecnologie identificate a livello europeo».
Casi analoghi in Italia?
«Ci sono situazioni aperte da una decina di anni. Sono le procedure di bonifica di siti industriali inquinati, in tutto 57. La legge prevedeva un progetto di bonifica da approvare in tempi brevi. Ma proprio per la distorsione nel rapporto tra Amministrazioni e imprese le procedure sono aperte da anni. A Porto Marghera, applicando i principi europei, siamo riusciti a chiudere, in tre mesi, 17 progetti di bonifica. E così è avvenuto anche in altri casi».
Come avete sciolto il nodo dei vincoli ambientali?
«Non riducendoli, ma rendendoli palesi. Perché l'ambiente si difende facendo le cose e non rinviandole».


Quali sono i Paesi modello?
«Germania e Francia, soprattutto, dove le innovazioni tecnologiche pro ambiente diventano un fattore di competitività. E tutte le imprese che investono in soluzioni tecnologiche innovative vengono premiate con incentivi, per esempio il credito d'imposta. È lo sviluppo sostenibile e competitivo».

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