Nell'eterno ciclo dei corsi e ricorsi del centrosinistra, si riaffaccia il fantasma di un match - forse quello finale: D'Alema contro Prodi, Prodi contro D'Alema. Un tempo per il partito, poi per il governo, stavolta per il Quirinale. «A questo punto siamo all'angolo: o troviamo il modo di responsabilizzare uno per uno i nostri, o non ne usciamo».
Raccontano che sia stato Massimo D'Alema, ieri pomeriggio, ad indicare al segretario, travolto dalla débâcle su Franco Marini, la exit strategy. Riconvocare i «grandi elettori» (stamattina alle 8 e un quarto) e far votare, a scrutinio segreto, il nome che può ricompattare un Pd totalmente esploso nel primo scrutinio. Bersani ieri pensava di sostituire Marini con Sergio Mattarella, per tenere un legame con gli ex Ppi, infuriati dal «tradimento» del loro candidato; si lavora anche su Luciano Violante e Anna Finocchiaro, ma i dalemiani lavorano ventre a terra per l'ex premier, mentre un altro largo fronte - dentro e anche fuori dal Parlamento, come testimonia l'insurrezione del partito emiliano contro il segretario e contro ogni dialogo col Pdl, punta su Prodi. Sul cui nome può uscire allo scoperto anche Matteo Renzi, che ieri ha abilmente manovrato da Firenze, mettendo in pista la candidatura di Sergio Chiamparino e facendola crescere al secondo scrutinio fino a 90 voti, il doppio di quelli riconducibili a lui. Due schemi di gioco totalmente diversi: il primo prevede un governo di larghe intese col Pdl, il secondo un rapido ritorno alle urne, dopo aver messo mano alla legge elettorale. Ma di nomi «forti» ne girano altri, da Walter Veltroni a Piero Fassino. Sulla proposta di consultazione (a scrutinio segreto) fatta da D'Alema, è partito un giro di consultazioni telefoniche affidato ad Enrico Letta, per verificare la fattibilità di queste strane «primarie» (ad urne già ampiamente aperte) tra i possibili candidati per il Colle. Franceschiniani e giovani turchi però resistono: «Mi pare una colossale buffonata, non è detto che si facciano», dice l'ex Ppi Francesco Garofani. Matteo Renzi, che ieri sera ha riunito i suoi da Eataly, si prepara a far saltare l'ultima ridotta bersaniana e annuncia che oggi farà il nome di Chiamparino (su cui si potrebbe aprire un fronte col Pdl), in seconda battuta quello di Prodi o «una sorpresa». Ma su D'Alema avrebbe posto un veto: la sua candidatura non esiste.
Le primarie Pd non piacciono neppure alla coalizione Bene Comune (nella quale, peraltro, di comune non è rimasto nulla, visto che Sel, Pd, centristi e socialisti hanno votato ognuno per contro proprio su nomi diversi). «Questi sono dei pazzi, vogliono fare le Quirinarie come i grillini», inveisce un dirigente di Sel. Vendola spiega che «noi rimaniamo su Rodotà, vedremo se loro cambiano linea». A tarda sera insomma non è chiaro quasi nulla: come si sceglierà il nuovo candidato, chi sarà, e neppure quando si voterà: il Pd sta tentando di prendere tempo ottenendo uno slittamento del quarto scrutinio, quello a maggioranza semplice, a stasera o a domani, ma il Pdl si è opposto e M5S idem. Deciderà stamane la capigruppo. Nel frattempo, Peppe Fioroni si è assunto ieri sera il compito di convincere Franco Marini ad abbandonare la partita, ritirandosi. «Lo hanno mandato al massacro - racconta il governatore della Liguria Claudio Burlando - alla fine dell'assemblea Pd di mercoledì notte ho supplicato Migliavacca di chiamare subito Marini e avvertirlo del rischio enorme che correva. Non hanno fatto neanche questo». La gestione del segretario è sotto processo da ogni parte: «Oggi non si votava per il presidente, ma per il congresso del Pd. E Bersani lo ha perso», notava Ivan Scalfarotto.
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