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Bersani fa peggio di Grillo con le purghe staliniste Pd

Il segretario s'inventa il trucco delle primarie dei parlamentari per far fuori renziani, malpancisti e "diversamente pensanti". Salvate le solite vecchie glorie non rottamabili

Bersani fa peggio di Grillo con le purghe staliniste Pd

Pier Luigi Bersani e Beppe Grillo dovrebbero erigere un monumento non in marmo, ma in oro zecchino a Roberto Calderoli. Con il Porcellum, infatti, l'epurazione di dissidenti, malpancisti e spiriti liberi è un gioco da ragazzi. Basta un gesto della mano, un tratto di penna, un sopracciglio aggrottato e sei fuori. È il Capo a decidere per tutti. E come Grillo ha espulso chiunque abbia sollevato anche una minima obiezione, allo stesso modo Bersani si appresta a fare piazza pulita di renziani, indipendenti e, come si diceva nell'Urss di Breznev, «diversamente pensanti».
Per rendere più accattivante l'imbroglio delle liste bloccate, e per nascondere l'epurazione dei dissidenti dietro il fuoco d'artificio della democrazia a comando, il segretario del Pd s'è inventato le primarie per i candidati. «Buffonarie», ha subito commentato Beppe Grillo, che di prese in giro se ne intende.
Meglio chiamarle primarie porcelle, in onore al sistema elettorale che Bersani ha difeso con tenacia dietro le quinte, e che ha deciso di riprodurre anche nella consultazione con gli iscritti e i militanti convocata alla vigilia di Capodanno: il 10% delle liste - che corrisponde a 120 deputati, più di un terzo del futuro gruppo parlamentare - è infatti bloccato, scelto direttamente dal segretario fra i suoi seguaci più stretti.
Lo schema messo a punto al Nazareno per imbrogliare la base del Pd e garantire l'oligarchia prevede, infatti, tre fasce di candidati: in prima fascia ci sono i nominati dal segretario, che entreranno direttamente in Parlamento senza passare né per le primarie, né tantomeno per gli elettori. Sono tutti bersaniani, amici di Bersani o vecchie glorie non rottamabili.
Fuori dal «listino» dei prescelti sono finiti praticamente tutti i renziani presenti in Parlamento, da Stefano Ceccanti a Roberto Giachetti, e con loro ambientalisti come Roberto Della Seta o Ermete Realacci (forse perché sui temi ambientali la «sensibilità» che Bersani attribuisce a Vendola è considerata più che sufficiente), fino a Paola Concia, attivista per i diritti degli omosessuali colpevole di aver messo in difficoltà l'inaffondabile Rosy Bindi.
In seconda fascia ci sono i capibastone locali, i consiglieri comunali, provinciali e regionali, i funzionari e i signori delle tessere: passeranno per la forca caudina delle primarie senza problemi, perché a Capodanno voteranno soltanto loro e i loro amici. E monopolizzeranno il risultato, occupando tutti i posti rimanenti. «Visto il precedente delle primarie per il sindaco, chissà chi arriverà da Napoli», commenta amaro Salvatore Piccolo, ormai rassegnato all'addio a Montecitorio.
Di certo non vinceranno le primarie gli esclusi dalla prima fascia, privi di radicamento territoriale o, per meglio dire, di pacchi di tessere da distribuire. Andrea Sarubbi, per esempio, ha deciso di gettare la spugna perché a Roma la faranno da padrone i consiglieri regionali e i loro protetti, come il franceschiniano Garofalo che pare aver già chiuso l'accordo con Bruno Astorre, vicepresidente del Consiglio regionale. Infine, in terza fascia, tutti gli altri: quelli normali, quelli senza apparato alle spalle, quelli che non ce la faranno mai.
La ciliegina sulla torta è il trucco escogitato per salvare anche i «derogati», i deputati cioè che, superato il tetto delle tre legislature, hanno chiesto e ottenuto una deroga per candidarsi ancora. Formalmente, si è deciso che i derogati - dieci in tutto, fra i quali spiccano Anna Finocchiaro e una nutrita pattuglia di democristiani guidati da Rosy Bindi e Beppe Fioroni - si sottoporranno alle primarie. Ma se saranno scelti come capilista dal segretario, anche questa formalità verrà loro risparmiata.
Il rinnovamento promesso da Bersani, proprio come quello predicato da Grillo, ha il volto bonario della democrazia e il cuore duro dell'epurazione. Guai ai vinti, guai a chi finisce in minoranza: la gioiosa macchina da guerra non fa prigionieri.



di Fabrizio Rondolino

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