Bersani sfrutta Renzi per togliere di mezzo la vecchia guardia Pd

Bersani sfrutta Renzi per togliere di mezzo  la vecchia guardia Pd

RomaCome insegna ogni manuale di politica, è allo sfidante che conviene alzare i toni e cercare il confronto diretto, mentre lo sfidato deve sfuggirlo. E così accade nel Pd, dove è Matteo Renzi, che ha riunito ieri a Firenze i suoi «Mille», amministratori locali Pd che si sono schierati a suo fianco, a lanciare la sfida a Bersani e allo stato maggiore del partito. Mentre il segretario, che a Roma ha riunito i circoli Pd, schiva spiritosamente lo scontro («Niente faziosità, persino io sono solo moderatamente bersaniano»), evita di nominare il suo futuro competitore e spiega che in questo momento c’è ben altro di cui occuparsi che delle primarie di partito: «Dobbiamo pensare al Paese».
La gara però è aperta, e nel quartier generale del Pd c’è nervosismo. Il nucleo duro dei bersaniani, che fa capo ai Migliavacca e agli Errani e che è detto al Nazareno «il tortellino magico» per l’alto tasso di emilianità, sta cercando di blindare il segretario. Ha fatto partire una raccolta di adesioni tra i sindaci che ha suscitato più di un mugugno: «È troppo presto, così rischiate di spararvi tutte le cartucce prima di cominciare», ha avvertito Piero Fassino. Un’analoga raccolta tra i parlamentari si è arenata per le obiezioni di molti: «Ancora non si sa neppure quando si vota e con che legge». L’outsider Renzi è il primo a sapere che una sua vittoria contro il segretario è difficile, ma sa anche che non si potrà dire di no ad alcune sue parole d’ordine. Intanto le primarie «aperte», sono state attaccate violentemente dal governatore della Toscana, Enrico Rossi: «Sarebbe un delitto se Renzi volesse provare a conquistare la guida del Pd con gli elettori del centrodestra», dunque la conta si faccia, ma «interna agli iscritti». Gli replica il parlamentare Giachetti: «Vedo una tentazione di ritorno al glorioso passato Pci: perché per Veltroni o per lo stesso Bersani si sono fatte primarie aperte e improvvisamente per Renzi si cambiano le regole?». E poi c’è la questione del rinnovamento generazionale, ancora più popolare e potenzialmente esplosiva: «Gente come D’Alema, Veltroni, Bindi, Marini: avete fatto molto per il paese e per il partito. Adesso anche basta», tuona Renzi da Firenze. E a Roma qualcuno si deve essere preoccupato quando ha sentito la risposta di Bersani, che non chiude la porta a nessuna delle due questioni: «Le primarie saranno aperte», dice. E ci sarà una «fase di rinnovamento», pur «senza rinunciare a qualche preziosa esperienza». Per molti della vecchia guardia si prepara un futuro difficile: le eccezioni alla regola dei tre mandati parlamentari saranno pochissime.
Bersani sembra accingersi alla fida con serenità, e lo stesso Renzi (sia in pubblico che in privato) gli riconosce «grande lealtà e apertura». C’è chi pensa che al segretario non dispiacerebbe regalare con le primarie al giovane sindaco di Firenze il ruolo di capo della minoranza interna (e, dunque, di principale interlocutore su questioni fondamentali, dalle nomine alle liste elettorali), emancipandosi così dalla tutela della nomenklatura.

Di certo il partito è in subbuglio: una parte del gruppo lettiano e dei franceschiniani sta spostandosi verso Renzi, mentre i cosiddetti «giovani turchi», che puntano a candidare Stefano Fassina alla segreteria Pd, se Bersani andrà al governo, alzano i toni contro il sindaco di Firenze, per avvertire moderati e post Dc che il futuro del Pd è decisamente a sinistra.

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