Politica

Bimbe lasciate in auto e madri lasciate sole

Riassumo la notizia per comodità del lettore. Una signora va a fare la spesa e si porta appresso, in auto, le tre figliolette: la più grande di 8 anni e la più piccina di 7 mesi. Le sono richiesti pochi minuti per procedere agli acquisti e lei, non potendo fare diversamente, lascia le bambine in macchina con i finestrini parzialmente abbassati in modo che possano respirare. Un passante assiste alla scena e avverte una guardia. La quale denuncia la donna per abbandono di minori.
Mi domando: siamo sicuri che sia stata la mamma ad abbandonare le creature o non sia stata, invece, questa orrenda società talmente disorganizzata da trascurare le donne con prole? Propenderei per la seconda ipotesi. Mettiamoci nei panni della suddetta signora. Non ha una baby sitter, non ha una colf, non ha una parente da cui ottenere il favore di badare alle figlie. Cos'altro avrebbe potuto fare se non uscire di casa con loro? Non aveva alternative. Le ha chiuse nella vettura con ogni precauzione e si è recata a comprare ciò che occorreva (...)

(...) alla sua famiglia. Un quarto d'ora ed è tornata con le borse gonfie di rifornimenti. E si è beccata la denuncia.
Mi auguro che il giudice sia comprensivo. D'altronde, alle bimbe non è successo nulla, il che significa mancanza di materia per emettere una sentenza di condanna. Ma il discorso è un altro. A tutti i livelli si predica quotidianamente che: 1) le famiglie italiane fanno pochi figli e il Paese invecchia, predisponendosi a essere occupato dagli stranieri; 2) la percentuale delle donne italiane che lavorano è la più bassa d'Europa, e ciò è tra le cause principali del nostro dissesto economico.
Osservazioni impeccabili. Che però non tengono conto della realtà, profondamente trasformatasi nell'ultimo mezzo secolo: sono mutate la vita, le abitudini e le esigenze delle persone; le città hanno cambiato volto; le famiglie patriarcali non esistono più; la gente è stipata - non solo nelle metropoli - in condomini nei quali gli inquilini neppure si salutano; il mondo si è rivoltato, ma, chissà perché, le strutture riservate alla maternità e infanzia sono ancora le stesse del Duce, forse addirittura peggiorate.
Gli asili nido (insufficienti e cari) hanno orari assurdi: alle 16, massimo 17, chiudono. E se una mamma esce dall'ufficio alle 18, chi va a prendere il bambino? Idem le scuole materne, elementari e medie. Lezioni, prevalentemente al mattino, quasi sempre fino alle 13. Già. E dopo pranzo chi accudisce il ragazzino o i ragazzini? Alcuni istituti privati offrono il tempo pieno; pieno si fa per dire: alle 16 o alle 17 si sbaracca. Tra l'altro l'istruzione privata (non solo quella religiosa) è oggetto di attacchi violenti della sinistra politica, le si negano contributi statali benché sia assodato che la sua gestione è più economica rispetto al settore pubblico. Vabbè. Transeat.
Poi ci sono le vacanze: tre mesi, da giugno a settembre. E dove li metti i pargoli? Ci sono (pochi) luoghi che li ospitano, e anche quei pochi hanno orari inconciliabili con quelli lavorativi dei genitori. Che finiscono per impazzire. Sono costretti a mobilitare nonni, amici, conoscenti, vicini di casa. Non sanno a che santo votarsi nel caso in cui, frequente, non abbiano qualche volontario cui appoggiarsi per dirigere il traffico degli infanti.
Viene da domandarsi perché mai a nessuno sia venuto in mente di adeguare la scuola e le sue regole (ferme al 1950) ai ritmi vertiginosi della modernità. Non c'è stato un governo, né progressista né conservatore, che si sia accollato la responsabilità di attuare una riforma nell'unico campo in cui dovrebbe essere obbligatorio, oltre che conveniente, l'aggiornamento costante per non perdere competitività nella gara per la conquista del benessere. Se l'educazione (e la macchina che la impartisce) non si adatta ai tempi, si produce nella collettività un divario che a lungo andare si trasforma in handicap per la nazione e i suoi cittadini.
Le donne ormai hanno (giustamente) accesso a qualsiasi professione, anche quelle tradizionalmente maschili. Nelle università esse costituiscono la maggioranza assoluta. Ma se, come natura comanda, partoriscono, non possono contare sul sostegno dei mariti, inclini a scaricare sulle consorti ogni rottura di scatole, e in generale sono abbandonate dalle strutture sociali amministrate dalla politica, insensibili alle questioni femminili, familiari. È una tragedia. Ogni protesta e ogni sollecitazione a porvi rimedio cadono nel vuoto. I partiti non pensano alle cose serie, ma ai voti e, difatti, ne rastrellano sempre meno. Badano ad assumere clienti nella burocrazia, a distribuire pensioni anche a chi non ha mai versato contributi, ad assoldare migliaia di guardie forestali, a stipendiare quelli dei lavori socialmente inutili e, comunque, non svolti. S'impegnano a danneggiare il Paese, a mantenerlo nell'arretratezza. Aumentano le tasse con disinvoltura per foraggiare l'esercito dei parassiti; ma, se devono spendere per realizzare un piano che consenta alle donne di vivere decentemente, allora dicono che non ci sono soldi.
Come non ci sono soldi? Basterebbe non buttare via risorse in ammortizzatori sociali mascherati in varie maniere vergognose e investirle, piuttosto, nella realizzazione di opere idonee a strappare le donne alla frustrazione di dover scegliere tra lavoro professionale e lavoro domestico. Siamo indietro, troppo indietro. Vogliamo tanti bambini, ma ce ne freghiamo se le loro mamme sono indotte a lasciarli in macchina, incustoditi, per comprare la verdura. Anzi, le denunciamo. E magari le puniamo.

di Vittorio Feltri

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