La pietra angolare del centrodestra come l’abbiamo conosciuto negli ultimi trent’anni si trova a una manciata di chilometri da Bologna. Silvio Berlusconi, forse più per caso che per scelta, la posò a Casalecchio di Reno il 23 novembre del 1993, quando durante l’inaugurazione del centro commerciale «Shopville Gran Reno» fece di fatto il suo ingresso sulla scena politica italiana. Forza Italia sarebbe nata solo due mesi dopo e da settimane i giornali raccontavano delle interlocuzioni tra il Cavaliere e il centro liberal-democratico di Mario Segni. Berlusconi, invece, sparigliò. E, proprio nel cuore della rossa Emilia-Romagna, decise di fare il suo primo endorsement a favore dell’allora Movimento sociale italiano. «Se lei votasse a Roma, chi sceglierebbe nel ballottaggio per il Campidoglio tra Rutelli e Fini?», chiese una cronista bolognese.
«Certamente Gianfranco Fini», fu la risposta serafica e sorridente che avrebbe cambiato per sempre la storia della destra italiana.
La discesa in campo ufficiale (quella de «l’Italia è il Paese che amo») sarebbe arrivata solo il 26 gennaio del 1994, ma in quel di Bologna Berlusconi aveva già tracciato la strada che nel giro di 29 anni avrebbe portato la destra dalla ridotta del Msi al piano nobile di Palazzo Chigi.
Da Fini a Giorgia Meloni, perché è del tutto evidente che se nel ’94 il Cavaliere non si fosse smarcato dall’ortodossia democristiana e non avesse sdoganato nel Nord la Lega di Umberto Bossi e nel Sud i post-missini di Fini (che nel frattempo stavano dando vita ad Alleanza nazionale) la storia sarebbe andata in modo diverso. A trentanni di distanza è facile perdere la percezione di quanto allora fosse sconsiderato solo immaginare l’aggregazione della destra verso il centro («una follia», la definì in quei giorni Segni). All’inizio dei Novanta, infatti, il Carroccio era quello che inneggiava alla secessione, gli anni in cui il Senatur minacciava la «guerra civile» e i Serenissimi assaltavano con un tanko piazza San Marco. Mentre il Msi era ancora visto come il partito erede diretto di Benito Mussolini e solo con la svolta di Fiuggi del 1995 (e l’addio di Pino Rauti) la destra italiana mise da parte non solo la vecchia simbologia fascista, ma anche l’anti-americanismo e l’anti-atlantismo.
Da allora, con gli inevitabili percorsi alterni di crisi di governo ed elezioni vinte e perse, la destra non si è più fermata. Tanto che ancora oggi - evidentemente con equilibri diversi e al netto di una legge elettorale che negli anni è più volte cambiata - è esattamente sullo stesso schema che il centrodestra è al governo del Paese: Fdi (invece di An), Lega e Forza Italia.
Ma Berlusconi non si è limitato a sdoganare la destra. Ha avuto anche la capacità di attrarla verso un’area moderata ed europeista. Per usare le parole con cui lo ha ricordato ieri il capo dello Stato Sergio Mattarella, «ha progressivamente integrato il movimento politico da lui fondato nella famiglia popolare europea favorendo continuità nell’indirizzo atlantico ed europeista della nostra Repubblica». Lo ha fatto anche in questo caso a modo suo e contro le previsioni di tutti. Nel 1998, infatti, Forza Italia entrò nel Ppe nonostante la netta contrarietà del Partito popolare italiano e dell’allora presidente del Consiglio Romano Prodi («sono sbalordito, o io o Berlusconi», scrisse a Wilfried Martens, all’epoca capogruppo del Ppe al Parlamento Ue, annunciando che avrebbe disertato il vertice del Ppe a Cardiff). Ed essendo la leadership del Cavaliere decisamente trainante all’interno del centrodestra, anche il resto della coalizione iniziò ad essere risucchiata verso l’area del popolarismo europeo. Senza dimenticare il passaggio al Popolo delle libertà, che dal 2009 al 2013 fu il partito in cui convivevano - sempre aderendo al Ppe - Forza Italia e An. Sarà proprio da una scissione del Pdl che, il 28 dicembre 2012, nascerà Fratelli d’Italia.
Meloni che sbanca alle elezioni dello scorso 25 settembre, dunque, è la fine di un lungo percorso iniziato esattamente tre lustri fa in un Euromercato (così si chiamava allora) del bolognese, tra via Marilyn Monroe e via John Lennon. Un cammino sul quale la presenza di Berlusconi ha pesato anche negli ultimi anni, quando i numeri delle urne hanno prima consegnato la leadership del centrodestra a Matteo Salvini e infine a Meloni. Nonostante il calo di consensi di Forza Italia rispetto al passato, infatti, la figura del Cavaliere - ingombrante non solo politicamente - ha continuato a essere la garanzia di una forte spinta centrista della coalizione. E anche un fattore di stabilità politica, per esempio con l’appoggio ai governi guidati da Enrico Letta o da Mario Draghi. Persino in questi mesi - come testimonia la sua ultima intervista, concessa proprio a Il Giornale nove giorni fa - il quattro volte presidente del Consiglio si è speso per un «centrodestra europeo», cercando di favorire un’intesa tra Ppe e i conservatori di Ecr - di cui Meloni è presidente - in vista delle elezioni europee del 2024.
Un voto che potrebbe cambiare drasticamente gli equilibri nelle istituzioni dell’Ue come li abbiamo conosciuti fino a oggi, con l’alleanza tra Ppe e Pse che non è mai stata così in bilico. E con l’auspicio, dunque, di riuscire a portare il «suo» centrodestra oltre i confini italiani. Da Casalecchio di Reno a Bruxelles.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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