Boni lascia. Via al rimpasto in Lombardia

Boni lascia. Via al rimpasto in Lombardia

MilanoRimpasto di giunta in Regione Lombardia e dimissioni dalla presidenza del Consiglio presentate ieri dal leghista Davide Boni. E con lui, dopo Renzo Bossi che ha rinunciato al suo scranno da consigliere e l’assessore Monica Rizzi, sono ora tre i leghisti dimissionari. L’effetto più evidente, insieme alle espulsioni dal partito della vice presidente del Senato Rosi Mauro e dell’ex tesoriere Francesco Belsito, delle ghigliottine dei «barbari sognanti» maroniani. E lui, Roberto Maroni oggi triumviro ma con mire sulle redini del Carroccio, anche ieri a proposito di ramazze e pulizie ha confermato che «continueremo sino a che non sarà finita». Anche se c’è da dire che nessuno nella Lega vuole associare il caso di Boni a quelli di Mauro e Belsito. «Perché Boni - spiega un pezzo grosso - non è stato nemmeno sfiorato dal sospetto di aver messo le mani sui nostri soldi. Contro di lui c’è semplicemente un avviso di garanzia». Nessuna teoria del complotto, «ma il rischio di creare un pericoloso precedente e consegnare alla magistratura il potere di decidere chi possa o non possa governare la Regione». Perché Boni si è dimesso trentacinque giorni dopo l’avviso di garanzia dei magistrati milanesi per un’indagine su una corruzione legata a presunte tangenti per la concessione di aree edificabili a Cassano d’Adda. Solo un atto per consentirgli di meglio difendersi, ma che col passare dei giorni è diventato per lui un macigno non più sostenibile. Soprattutto, ha spiegato, «in questo momento in cui il mio partito è continuamente sui giornali». Nessuna pressione dei triumviri e dei vertici del Carroccio che solo un mese fa avevano respinto le dimissioni messe sul tavolo di Umberto Bossi. «Mi è stata rinnovata la loro piena fiducia. Quando però è lo stesso Umberto Bossi a fare un passo indietro, un militante come me con ventidue anni di vita politica nella Lega, non può che fare altrettanto». Già partita la caccia al successore con Maroni che ordina «largo ai giovani, ne abbiamo tanti e ne sceglieremo uno per presiedere il Consiglio». Facendo così tramontare la candidatura del capogruppo Stefano Galli. In ballo Massimiliano Romeo e Ugo Parolo. Ma se si volesse guardare alla carta d’identità, Fabrizio Cecchetti è classe 1977. E già alla seconda legislatura, requisito che non dispiace affatto.
Sul fronte del rimpasto, invece, ingresso in giunta di Margherita Peroni, la presidente della commissione Sanità che sostituisce il dimissionario Stefano Maullu (Pdl) e della leghista Luciana Ruffinelli al posto di Monica Rizzi, l’assessore «licenziato» dal nuovo corso della Lega che non le perdona il dossieraggio contro i compagni di partito fatto insieme a una maga per favorire l’elezione nel 2010 del «Trota». Ma il centrosinistra annuncia una mozione di sfiducia per Formigoni. «So che questo irrita il pubblico della sinistra - la sua replica -, ma è evidente che sono limpido come acqua di fonte». Dimissioni? «Non sono oggetto di alcuna indagine, non c’è il minimo indizio su tutti gli atti della nostra giunta». E, a proposito di persone da lui frequentate finite nelle indagini, «anche Gesù ha sbagliato a scegliersi uno dei collaboratori». Battuta che non è piaciuta a Maurizio Lupi: «Una battuta infelice». Non solo. «Andare in vacanza con Daccò è stato inopportuno». Ma «Formigoni non si deve dimettere, non è indagato, altri presidenti di Regione invece sì». Duro anche Boni con la consigliera vendoliana Chiara Cremonesi.

«Scopriamo dal capogruppo di Sel che gli avvisi di garanzia possono essere considerati in maniera diversa a seconda di chi sia il destinatario: se riguardano il compagno Vendola si ringrazia quest’ultimo per il lavoro svolto sino ad oggi, se invece coinvolgono qualche esponente dell’altra parte, allora le condanne sono immediate».

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