La caccia ora è finita. In manette la banda della rapina perfetta

Con uno spettacolare blitz militare sulla Milano-Como rubarono 10 milioni in lingotti: due arresti e 18 indagati

La caccia ora è finita. In manette la banda della rapina perfetta

Milano - Il colpo perfetto è qualcosa a metà tra un set cinematografico e un blitz paramilitare. Un commando di rapinatori che blocca un tratto dell'auostrada A/9 Milano-Como parcheggiando due tir incendiati in mezzo alla carreggiata, ferma due furgoni portavalori vestendo le pettorine della polizia, esplode decine e decine di colpi di fucile, ruba lingotti d'oro per dieci milioni di euro e se ne va lasciando sull'asfalto una scia di chiodi per ostacolare un eventuale inseguimento. Tutto in pochi minuti. Un affare da professionisti del crimine. La cui carriera, però, sembra arrivata al capolinea. Il gip di Como, infatti, ha firmato un ordine di arresto per due componenti della banda, mentre la Procura ha chiuso le indagini nei confronti di altri 18 malviventi.

A finire in carcere - già sabato scorso - sono Antonio Agresti (43enne di Andria) e Giuseppe Dinardi (50enne di Altamura e residente a Cologno Monzese), considerati gli organizzatori oltre che esecutori del colpo avvenuto alle 7 del mattino dell'8 aprile scorso. Sotto inchiesta, poi, c'è un gruppo di 18 pregiudicati di origine foggiana e barese che operavano in diverse province italiane e specializzati negli assalti ai portavalori. A loro i magistrati di Como arrivano dopo un lungo lavoro investigativo che ha subito un'accelerazione decisiva in un capannone di Origgio, in provincia di Varese. Lì, infatti, i rapinatori hanno parcheggiato le auto e i camion prima del colpo, e in quel fabbricato viene trovato un numero di telefono scritto su un foglietto di carta. A quel numero seguono i tabulati telefonici e le intercettazioni, poi - a giugno - viene arrestao un fiancheggiatore che a Firenze custodisce parte delle armi, e alla fine la polizia risale all'identità dei banditi.

E quel giorno, sul tratto dell'A/9 all'altezza di Turate compreso tra i chilometri 17 e 21, sono almeno in dodici. Pronti, armati e addestrati. Una parte si occupa di bloccare l'autostrata con i tir incendiati e di disseminare i chiodi sull'asfalto, altri di fermare i furgoni della Battistolli diretto a Chiasso, altri ancora tranciano il guard rail consentendo agli automezzi di fuggire lungo strade secondarie. Quando le guardie giurate al volante dei blindati si rendono conto di essere finite in una trappola, è ormai troppo tardi. Accade tutto in pochi istanti. I malviventi li circondano e spaventano sparando raffiche con armi da guerra, almeno una cinquantina di colpi. Poi accendono sotto uno dei furgoni un fumogeno per far credere all'equipaggio che stavano dando fuoco al mezzo, infine ne sradicano il portellone con una motosega. I vigilantes escono illesi, lasciando necessariamente incustodito il carico. E così i malviventi spariscono con dieci milioni di euro in lingotti d'oro.

Ben oltre ogni immaginazione, ne sono convinti gli investigatori. Tanto che la banda non si occupa del secondo furgone, solitamente utilizzato come scorta, e che invece in quell'occasione trasporta altri cinque milioni in lingotti. Ma in fondo, il bottino è sufficiente per guadagnarsi un posto nella storia del crimine italiano.

E sarebbe bastato anche meno, vista la spettacolarità e la spietata efficacia dell'azione. I primi ad accorgersene sono gli agenti della polizia che giungono sul posto.

Parlano immediatamente di un'azione da manuale, quasi una «rapina perfetta». Ma non abbastanza, evidentemente. E adesso - in carcere le menti del gruppo criminale e smantellata la banda - resta solo da ricostruire che fine ha fatto l'oro rubato.

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