RomaEra da tempo incatenata ai blocchi di partenza, prigioniera di una disciplina di partito e di corrente che faceva fatica a sposare con reale convinzione. Il pressing per disinnescarne la discesa in campo si era alzato da tempo. Un tentativo di moral suasion che testimoniava l'esistenza, all'interno dell'area degli ex An, di concezioni distanti e opposte sull'idea stessa di primarie da tenere nel Pdl.
Da una parte Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa, convinti della necessità di costruire una sorta di mozione unitaria attorno al nome di Angelino Alfano. Un modo per blindare il segretario nel momento più difficile e offrire al contempo una prova di compattezza, una dimostrazione plastica di unità del partito. Dall'altra la posizione di chi vede nelle primarie l'occasione per immettere nuove energie, costruire una gara vera e una leadership «contendibile».
«Spero che la parte più dinamica del Pdl promuova una candidatura. Desidero che ciò che rappresento sia in campo, non m'interessa con quale volto» aveva detto pochi giorni fa, Giorgia Meloni. Alla fine - in una riunione con trenta fra parlamentari e big regionali tra cui il governatore Giuseppe Scopelliti e Fabio Rampelli della componente «Italia Protagonista» - i nodi sono venuti al pettine. In una atmosfera serena nei toni ma tesa e tagliente nei contenuti e nella ritualità di una comunità politica in cui i rapporti hanno storie e saldature antiche, l'ex ministro della Gioventù ha detto no all'appoggio ad Alfano e ha sciolto le riserve in merito a un suo impegno in prima persona.
«Ho il dovere del rispetto e della riconoscenza verso di voi» è stato il suo ragionamento «ma prima di tutto ho quello della fedeltà al nostro popolo». Le stesse parole che disse quando ci fu lo strappo con Gianfranco Fini, altro passaggio per lei complesso e doloroso. A questo punto la giovane dirigente azzurra attende gli sviluppi conseguenti alla decisione del Viminale di fissare le elezioni regionali a febbraio. Ma se le primarie saranno confermate, allora entrerà ufficialmente nel novero dei candidati e diventerà una rivale temibile per Alfano.
Il confronto notturno si è sviluppato per diverse ore. La maggior parte dei dirigenti intervenuti, raccontano, si è espresso contro una candidatura di bandiera degli ex An. «Dobbiamo salvare il Pdl, non creare un rifugio identitario». Chi invece si è espresso a favore della corsa dell'ex ministro della Gioventù ha spiegato che non si tratta di contrapporsi al segretario uscente, ma di dare protagonismo a un mondo che reclama visibilità. Una tesi che non ha fatto breccia. Anzi, di fatto è stato sottolineato come un'eventuale candidatura di un ex An sancirebbe uno strappo all'interno della componente e quindi il divorzio dalla stessa. Una lacerazione - ormai probabilmente inevitabile - che innesca dubbi e sofferenze soprattutto nel mondo giovanile del Pdl dove Gasparri e Meloni, sia pure con ruoli e storie differenti, rappresentano punti di riferimento costanti, figure preziose, presenti e vicine al territorio.
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