Politica

Le capriole di Rutelli, un big al tramonto

Cicciobello è evaporato tra un insuccesso e l’altro. La mossa disperata: il ritorno nel Pd

Le capriole di Rutelli, un big al tramonto

Giudicando a occhio, co­me si fa al mercato, il cin­quantottenne France­sco Rutelli sta d’incanto. Incarna­to ben conservato, pupilla ceru­lea, chiome grigio argento di chi invecchia bene. Ma se invece di considerarlo come un bell’esem­plare da mettere in frigo e consu­mare a Natale, lo prendiamo per quello che in fondo è, cioè un es­sere umano, allora cambia tutto in peggio. Infatti, dopo lustri di vi­ta politica a passo di bersagliere, il fu Cicciobello è ormai sparito dalla memoria collettiva. Se, in­fatti, sul tram qualcuno chiede: «Che fine ha fatto Rutelli?», la risposta è: «Chi è Rutel­li? ».

Ultimamen­te, ha accumu­lato guai che valgono due viaggi a Medju­gorje. Tutto ini­ziò nella prima­vera 2008 quando perse la sfida con Gianni Alemanno per fare il sindaco di Roma. Gianni era l’anatroccolo: ex missino, origini pugliesi, già sconfitto nella stessa lizza da Walter Vetroni due anni prima. Insomma, l’agnello sacri­ficale. Cicciobello era invece sul­la cresta dell’onda. Aveva un cur­sus politico doppio rispetto al ri­vale e un mese prima era ancora vicepresidente del Consiglio di Prodi.Inoltre,era romanode’Ro­ma e già sindaco due volte negli anni Novanta. Date le premesse, poteva perdere solo per insipien­za. Ci è riuscito.

Anziché fare mea culpa, maga­ri per avere esagerato nel preten­dere per la terza volta la medesi­ma poltrona, Cicciobello se la prese con quelli del Pd, il suo mag­giore alleato. Disse che non lo avevano appoggiato a dovere e che dunque non lo meritavano. Liquidò la Margherita, di cui era leader, lasciò il Pd, fondò Allean­za per l’Italia e si spostò nei parag­gi di Pier Ferdinando Casini. Di­ventato centrista, non contò più nulla. Pierferdy, è risaputo, pen­sa a sé e sfrutta gli altri. Ne sa qual­cosa quel tapino di Gianfranco Fi­ni che, in odio al Cav, dopo una vi­ta in fez, si è appollaiato all’om­bra dei Casini, Buttiglione e ba­ciapile vari. Risultato: sparito pu­re lui.
Anche l’imprevista apparizio­ne di Fini nella medesima dimo­ra del cosiddetto Terzo Polo, fu una sofferenza per Rutelli. A par­te che i due erano opposti­
Ciccio­bello da ragaz­zo era stato ca­pellone e anti­militarista, l’al­tro un sergente con i capelli a spazzola - ma soprattutto avevano alle spalle un duro scontro tra lo­ro. Fini, infatti, gli aveva conteso il Campidoglio nel 1993. Rutelli vinse, ma la bat­taglia fu spietata. Con il Berlusca schierato con quello che era anco­ra «il fascista»,mentre l’ex Pci ap­poggiava Cicciobello, il transfu­ga radicale, che, cambiando pel­le, si era inginocchiato a Di Pietro e agli altri energumeni di Mani pulite. Ecco perché la conviven­za forzata con Fini fa parte degli stress rutelliani degli ultimi anni. Tuttavia, il dramma più grosso è stato senz’altro il recente caso Lu­si, ossia l’ignobile scorpacciata di soldi della defunta Margherita finiti tra le fauci degli amici di Ru­telli sotto forma di ostriche e champagne.

Annichilito dalla serie di insuc­cessi, il Nostro è svanito. La cosa potrebbe finire qui, se negli ulti­mi giorni non fosse riemerso. «Toh,c’è ancora!»,ci siamo stupi­ti. E lui, quatto quatto, ha preso due iniziative. Da un lato, ha fatto un po’ di scena restituendo al Te­soro cinque milioni di euro sfug­giti a Lusi e ha approfittato del ge­sto per incensarsi, «sono il primo a farlo nella storia repubblica­na », manco fosse il miglior fico del bigoncio. Dall’altro, ha pian­tato Casini e Fini ed è rientrato nel Pd ripudiato quattro anni fa. Il senso della manovra sfugge. Non era nessuno nel Terzo Polo, sarà nessuno nel partito di Bersa­ni. Dunque, solo un tentativo di sopravvivenza politica. Ma per­ché Cicciobello si danna per ri­mandare il momento della pen­sione? Quel che poteva fare, l’ha fatto (come sindaco, senza eccel­lere, è stato più efficace di Veltro­ni e Alemanno), si ritiri a coltiva­re susine che sono molto richie­ste.

Quando andava in motorino, Rutelli fu ribattezzato: «Sopra il motorino, niente». Ora che ha i ca­pelli grigi, si aggiunge: «Inutil­mente grigi». Per carattere, è un pesce in barile. Belloccio e desi­deroso di piacere, si è guadagna­to sul campo il soprannome di Piacione da alternare a Cicciobel­lo. Romano di terza generazione, Rutelli ha un celebre bisnonno, lo scultore siciliano Mario che ha abbellito diverse piazze romane. Il padre, Marcello, è stato un illu­stre architetto. Il figlio doveva se­guirne le orme ma, nell’età criti­ca, finì nelle braccia Marco Pan­nella con conseguente rinuncia alla laurea. Il padre commentò anni dopo: «Mio figlio diede po­chi esami, soprattutto quelli in cui si chiacchierava. Lì era bravis­simo ».

Con i radicali fece marce pacifi­ste, ecologiste, ecc. Ma, anziché i piedi, usava per fiacchezza il tor­pedone. Fu ribat­tezzato «Torpido­ne ». Straprotetto da Pannella, di­venne segretario nazionale del Pr a 27 anni, nell’81.
Nell’83 era depu­tato. Filava già con la leggiadra giornalista Bar­bara Palombelli, futura moglie. Quando il babbo Marcello conob­be la ragazza esclamò sollevato: «È una carabiniera. Saprà imbri­gliare quella capafresca di Cic­cio ». I due formano una coppia di ferro che si divide i ruoli con l’obiettivo di cascare sempre in piedi. Se l’uno occupa uno spa­zio, l’altra quello contrario. Col Cav al potere, Ciccio gli dava ad­dosso: «È bollito, mancano solo le patatine di contorno». Mentre lui concionava, Barbara si guar­dava le unghie. Poi, di colpo, en­trò in Mediaset come editoriali­sta nelle tv del medesimo Cav che
il marito insolentiva. Così, su trin­cee contrapposte si sono trovati anche in referendum, nei giudizi su Craxi e altre questioni. Al mot­to: avversi come singoli, per tene­re i piedi in due staffe ed essere co­me famiglia al sicuro. I Rutelli si sono sposati due volte. La prima in comune, poiché Ciccio in gio­ventù era fieramente anticlerica­le. Poi Ciccio divenne pio e nel ’95 riconvolarono a nozze in chiesa, officiante un cardinale.

Come tutti gli opportunisti, il Piacione è ondivago. Smaltita la cotta per Pannella, passò ai Verdi e cominciò a fare le fusa a Craxi in auge. Bobo, il figlio di Bettino, di­rà: «Nessuno adottò verso Craxi atteggiamenti servili come quelli di Rutelli». Ma appena il leader so­cialista cadde con Tangentopoli, lo azzannò. Nelle more, Ciccio si era legato ad Achille Occhetto, se­gretario Pds e peggior nemico di Bettino. Grazie al capo comuni­sta fu nominato nel ’93 ministro dell’Ambiente del governo Ciam­pi e, in obbe­dienza a lui, si dimise il giorno do­po per pro­testa con­tro il rifiuto della Came­ra di conse­gn­are il Cin­ghialone al pool di Mila­no. Nell’eccitazione, esclamò con toni da sbirro: «Voglio vedere Craxi mangiare il rancio in gale­ra ». Tempo dopo, Stefania, la fi­glia di Bettino, gli rese la pariglia. Trovandoselo davanti, sibilò: «Sei un grandissimo st...zo». Que­relata, fu condannata a una mul­ta irrisoria, 75 euro, segno che il giudice trovava confacente l’epi­teto. Questo è il personaggio.

Il resto del carrierismo rutellia­no è noto: candidato premier del­la sinistra nel 2001 (sconfitto dal Cav), vice di Prodi nel suo falli­mentare governo del 2006. Ades­so il tramonto.

Glielo auguriamo sereno.

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