Carceri strapiene, 60 associazioni lanciano l'allarme

Un appello per cambiare le condizioni dei carcerati in Italia. Sono 60 le associazioni che si sono unite per indirizzare un messaggio alle autorità italiane ed europee e far presente il problema del sovraffollamento carcerario, che rischia di costare una multa salatissima all'Italia da parte della Corte europea dei Diritti dell'Uomo. I firmatari chiedono «un diverso modello di giustizia e detenzione, più responsabilizzante, meno chiuso in se stesso e più aperto al ritorno nella società». L'appello si compone di sette punti. Tra i punti più in vista, la richiesta di «diversificare il sistema sanzionatorio», così da «procedere sulla doppia via della depenalizzazione e della residualizzazione della pena carceraria». Ma, in particolare, va cambiato, scrivono i firmatari, il modello di gestione delle case circondariali. Si invoca l'accantonamento del vecchio trattamento dei detenuti, fondato sulla «soggezione, l'afflizione e l'umiliazione», per passare ad un modello più improntato alla socialità e alle attività all'interno del carcere, prendendo spunto da realtà che in Italia sono già esistenti e dimostrano di funzionare a dovere. Per quanto riguarda le attività all'interno delle strutture, l'Italia è ancora indietro: il tasso di disoccupazione nelle carceri nostrane è del 96% e, nonostante l'esistenza di una legge che lo disciplina (la legge Smuraglia), il lavoro è ancora argomento che non fa presa, a causa delle ridotte coperture. Nell'appello, si sottolinea che «il lavoro qualificato è essenziale quale fattore di riduzione della recidiva e va concretamente incentivato».

Si fa notare che la gran parte dei detenuti è a basso indice di pericolosità: per questo, è sbagliato che l'attenzione legittima che si riversa alla minoranza pericolosa si estenda a tutti gli altri detenuti. Infine, si chiede di favorire l'invio in comunità di detenuti in affidamento, sia provenienti dalla detenzione che dalla libertà. Tali esperienze «abbattono la recidiva e hanno un costo inferiore a quello dello Stato».

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