Casini lascia la Camera, ma è una finta

Casini lascia la Camera, ma è una finta

RomaL’annuncio aveva fatto il suo effettaccio mediatico: «Lascio da subito i miei benefit da ex presidente della Camera dei deputati». Firmato Pier Ferdinando Casini. Un bel colpo, non c’è che dire. Buono per accreditarsi agli occhi di chi in questo momento di crisi esige dai politici atti di buona volontà, forse anche di quelli tentati dalle sirene dell’antipolitica. Ma il gesto di Casini, alla resa dei conti, è un mezzo bluff. Un prestigioso ufficio parlamentare, il brizzolato leader centrista con vocazione di ago delle bilancia ce l’ha ancora, lontano solo qualche decina di metri dal precedente. Con buona pace delle anime belle che hanno applaudito il suo gesto.
È una storia esemplare di come si cavalca l’opinione pubblica, quella del leader dell’Udc. Tutto ha inizio qualche settimana fa, quando l’ufficio di presidenza della Camera decide - imitando il Senato - di sbianchettare i benefit a vita da sempre spettanti agli ex presidenti di Montecitorio: ufficio, segreteria, auto blu, una manciata di voli più qualche altra elargizione di Stato in nome di ciò che è stato e non di ciò che è. Una mancetta alla memoria, meno sostanziosa di tanti altri sperperi ma pur sempre insopportabile. La decisione commendevole viene però interpretata un po’ all’italiana, quindi con una sostanziosa eccezione che riguarda tre su cinque degli ex presidenti dell’aula, quelli che sono ancora deputati o lo sono stati di recente: Pier Ferdinando Casini, appunto, e poi Luciano Violante e Fausto Bertinotti. A loro viene riconosciuto prendere-o-lascire un supplemento di benefit di dieci anni dalla fine della presente legislatura (quindi fino al 2023) che annacqua di molto l’efficacia del provvedimento. Ciò che provoca peraltro le vibranti proteste di uno dei due ex presidenti esclusi dall’eccezione, Irene Pivetti, che con piglio strappalacrime annuncia la necessità di licenziare il suo staff. Casini annusa l’aria, capisce che rischia di essere etichettato come titolare di un odioso privilegio, e gioca d’anticipo: annuncia perciò di rinunciare da subito ai suoi vantaggi. Qualcuno sommessamente fa notare che non è poi un gran gesto, visto che Casini è pur sempre capogruppo e come tale titolare di altri «bonus» e non rischia certo di essere un senzatetto della politica. Qualcun altro, come il collega di benefit Violante, grida all’ipocrisia. Qualcun altro ancora, come il presidente attuale della Camera, appare imbarazzato per la grana. Ma per Casini il risultato resta: agli occhi dell’opinione pubblica lui appare come quello che fa la cosa giusta.
Nei giorni successivi Casini fa seguire alle parole i fatti: qualcuno racconta di averlo visto in maniche di camicia (i più maligni ipotizzano in avida ricerca di uno scatto fotografico) mentre riempie e porta via scatoloni pieni di effetti personali in stile dipendente Merrill Lynch «esodato». Fatto sta che Casini lascia effettivamente quello che è considerato uno dei più bei quartierini del già non scadente hotel Montecitorio: la cosiddetta «altana» con doppia vista sul Cupolone e sul Quirinale.
Insomma, tutto a posto? Per Casini sicuramente. Il leader centrista riesce ad avere la botte piena e la moglie ubriaca. Ottiene la sua buona pubblicità, i cui dividendi spera di incassare alle prossime elezioni. E nel frattempo non resta certo senza ufficio. Per fare adeguato spazio a Casini, infatti, a Montecitorio va in scena un piccolo trasloco. L’ex presidente della Camera si installa in un ufficio di una novantina di metri quadri formalmente assegnato al gruppo dell’Udc (di cui Pierferdy è presidente) a Palazzo Theodoli-Bianchelli, uno dei tanti edifici prestigiosi in cui si articola la macchina della Camera, dove si trovano anche gli uffici di Fausto Bertinotti, che pur non essendo deputato è comunque presidente della Fondazione Camera dei deputati.

I vecchi inquilini del nuovo ufficio di Casini, due dei segretari di presidenza di Montecitorio, il leghista Giacomo Stucchi e il «responsabile» Michele Pisacane, fanno a loro volta le valigie e vanno a occupare l’«altana» già di Casini, di simile metratura.
Una piccola magia immobiliare e tutti sono contenti. Tranne gli italiani che si erano illusi che davvero ci fosse un politico capace di rinunciare volontariamente a qualche etto di franchigia.

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