Casini e Mauro litigano già per le poltrone

In caso di rimpasto al centro toccherebbe un solo posto. E Pierferdy non vuol mollare D'Alia

Casini e Mauro litigano già per le poltrone

Roma - Il cantiere l'hanno aperto da oltre due mesi, ma sulla costruzione della nave sono molto in ritardo. E così uno dei due «armatori» del nuovo centro pensa già di mettere in piedi un'altra bottega. E non esita a farlo capire a quello che dovrebbe essere il suo «socio» a ogni pie' sospinto.
Insomma, tra i «superstiti» dell'Udc di Pier Ferdinando Casini e i Popolari del ministro della Difesa Mario Mauro sono già cominciate le scaramucce. E forse non poteva essere altrimenti, considerato che ciò che li ha accomunati (l'affondamento della montiana Scelta civica, ormai diventata una ridotta di «professori») ha un valore molto relativo dinanzi a un futuro con molte incognite.
E così Pier Ferdinando Casini ha lanciato al ministro un segnale non certo distensivo. Mercoledì scorso Mario Mauro ha incontrato al Senato il suo gruppo che, come non tutti sanno, si chiama «Per l'Italia» ed è presieduto dall'ex presidente di «Scienza e Vita», il ginecologo Lucio Romano. Della formazione fa parte anche il leader udiccino Casini che, però, era assente alla convocazione.
Nei corridoi di Palazzo Madama si mormora che, essendo il rimpasto di governo il tema dell'incontro, Pier Ferdinando abbia voluto in questo modo segnalare la propria «distanza» rispetto alle scelte di Per l'Italia. È chiaro che se la compagine dell'esecutivo dovesse essere rimessa in discussione, il «centrino» rischierebbe almeno una poltrona perché le due che può vantare attualmente le sono state attribuite in quota Scelta civica. Ovviamente, Mario Mauro a lasciare la Difesa non ci pensa minimamente. Questo, però, non è un problema di Casini che, secondo i bene informati, è intenzionato a difendere fino all'ultimo il suo «pupillo»: il ministro della Pubblica amministrazione, Gianpiero D'Alia.
Il cantiere è ancora aperto, ma della nave per affrontare il mare impetuoso delle competizioni elettorali non c'è ancora traccia. La melina su D'Alia e, dunque, la rinascita dell'orgoglio udiccino fa pensare che Casini sia a mille miglia di distanza dal proposito originario di sciogliere il partito erede dello scudocrociato, un'ipotesi che da due anni viene riproposta ciclicamente e puntualmente viene smentita dai fatti. Basti pensare che il congresso nazionale, previsto inizialmente per fine novembre, è stato rinviato a febbraio. E nelle assemblee locali del Sud (lo zoccolo duro dell'elettorato post-democristiano) non c'è alcuna intenzione di alzare bandiera bianca.
Le difficoltà del Nuovo centrodestra e le trattative sulla legge elettorale inducono alla cautela. Tanto più che il modello spagnolo (un proporzionale con collegi molto piccoli e premio di maggioranza) - sul quale Berlusconi e Renzi sono in sintonia - potrebbe restituire all'Udc e al suo storico simbolo un'«utilità marginale» da rivendere a peso d'oro sul mercato politico, soprattutto nel Mezzogiorno. Ecco perché ieri D'Alia ha rintuzzato le critiche nei confronti del sindaco di Firenze.

«Renzi si può criticare su molte cose, ma non per la sua volontà di cercare il confronto con Berlusconi. Una legge elettorale fatta a colpi di maggioranza fa solo danni al Paese», ha dichiarato. La «volpe» Casini è pronta a colpire.

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