La Cassazione va all'attacco: "Dell'Utri tra Cav e mafia" Ma c'è un buco di 5 anni

La Suprema Corte: "La prescrizione può allontanarsi". Ma nelle sentenze che hanno condannato il senatore mancano prove per il periodo 1977-1982

La Cassazione va all'attacco: "Dell'Utri tra Cav e mafia"  Ma c'è un buco di 5 anni

Un buco nero lungo cinque anni, dal 1977 al 1982: il periodo in cui Marcello Dell'Utri lascia l'impiego alle dipendenze di Silvio Berlusconi e va a lavorare accanto ad un imprenditore palermitano trapiantato a Milano, Filippo Rapisarda. Le sentenze che hanno condannato in primo e in secondo grado Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa non dicono nulla di quel periodo, non esaminano testimonianze né prove: e invece l'analisi di quegli anni era fondamentale per capire fino in fondo il ruolo giocato da Dell'Utri, l'evoluzione dei suoi rapporti con gli uomini della mafia siciliana e di quelli con Silvio Berlusconi. I giudici parlano di "un totale vuoto argomentativo per quanto concerne la possibile incidenza di tale allontanamento sulla permanenza del reato già commesso".

Per questo, dicono le motivazioni depositate oggi, la Cassazione ha annullato, ordinando un nuovo processo, la condanna di secondo grado a Dell'Utri. Ora un'altra Corte d'appello a Palermo dovrà di nuovo processare il senatore del Pdl. E solo all'esito di quel nuovo processo si capirà se i reati contestati a Dell'Utri sono da considerarsi ormai prescritti, o se invece si potrebbe riaprire il percorso processuale destinato a portare ad una condanna definitiva e all'ingresso di Dell'Utri in carcere.

Per il resto, le 146 pagine della sentenza sono una nuova, pesante legnata giudiziaria su Dell'Utri. I dubbi sulla stessa configuirabilità del reato di concorso esterno, che nella sua requisitoria la Procura generale aveva robustamente avanzato, non vengono fatti propri dai giudici della Suprema Corte. Il reato (su cui la stessa Cassazione, nella vicenda di Calogero Mannino, era sembrata scettica: o sei mafioso o non lo sei) invece viene considerato dalla sentenza un reato precisamente definito, e - nel caso specifico - concretamente attribuibile a Dell'Utri sulla base della testimonianza di numerosi pentiti. Ma di quel reato, Silvio Berlusconi - che nella fase istruttoria di questo processo, va ricordato, era stato indagato e poi archiviato - in realtà sarebbe stato vittima. Di fronte alle minacce che arrivavano alla sicurezza della sua famiglia nell'epoca dei sequestri di persona, Berlusconi avrebbe ricevuto la protezione di Cosa Nostra attraverso Dell'Utri, che proprio per questo avrebbe piazzato lo stalliere Vittorio Mangano nella sua villa di Arcore. Di quella presenza non ci sono, per i giudici romani, altre spiegazioni possibili: l'arrivo di Mangano ad Arcore.

E adesso? Il processo si rifarà, praticamente solo per scavare sul periodo 1977-1982. Per i periodi precedenti, la colpevolezza di Dell'Utri per la Cassazione è assodata: ma se i rapporti con Cosa Nostra verranno considerati finiti nel 1977, il nuovo processo non potrà che prendere atto della prescrizione di tutto:

permanenza del reato fino a quel momento consumato, con evidenti riflessi sul computo del termine prescrizionale che il giudice del rinvio dovrà pure considerare»Se invece i nuovi giudici riterranno che anche in quel quinquennio, quando lavorava per Rapisarda, il senatore abbia contribuito alle attività di Cosa Nostra, allora l'asticella della prescrizione potrebbe tornare ad alzarsi.

Il problema è che Filippo Rapisarda, l'uomo per cui Dell'Utri lavorò a partire dal 1977, è morto pochi mesi fa.

Agli atti restano le sue testimonianze, allegate al processo di primo grado ma ritenute inattendibili dagli stessi giudici del tribunale palermitano che condannò Dell'Utri: Rapisarda aveva parlato di incontri nella sua sede milanese tra Berlusconi, Dell'Utri e esponenti dei clan palermitani come Stefano Bontade. Ma negli ultimi mesi di vita pare che avesse deciso di rimangiarsi la testimonianza, dicendo di avere inventato tutto per compiacere gli inquirenti. Ma non avrà la possibilità di mettere a verbale niente.

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