«La mia tonaca? Una camicia nera taglia XXL». Un prete che - tra una messa in onore di Mussolini e una benedizione ai nostalgici della Repubblica di Salò - pronunci una simile frase, andrebbe scomunicato, trattato come un soggetto folcloristico o pietosamente ignorato? Il problema si pone, ad esempio, con don Giulio Tam che la suddetta frase l'ha esclamata davvero, facendo un figurone con tutti i camerati per i quali rappresenta un mito in abito talare. Non c'è infatti anniversario a sfondo nazifascista che don Giulio non si prenda la briga di battezzare fra un tripudio di fasci littori, svastiche, foto del Duce e anche qualche «santino» di Hitler.
Ogni 28 ottobre, don Giulio - foss'anche in corso il Giudizio Universale - lo troverete, immancabilmente, in quel di Predappio per porre il suo sigillo religioso alla commemorazione della Marcia su Roma, circondato dai suoi fan di Forza Nuova: leggiadra organizzazione in cui don Giulio svolge il delicato ruolo di «padre spirituale». «Il modello di don Giulio - come ha scritto il vaticanista, Giacomo Galeazzi - sono i preti neri del ventennio come don Gino Artini, don Angelo Baroni, fra Galdino, don Alberico Manetti, don Antonio Bruzzesi, fra Ginepro da Pompeiana. O don Ettore Civati, centurione della Milizia, volontario in Albania, podestà in Valtellina e fascista così fascista da finire spretato e diventare funzionario del Minculpop. O su tutti don Tullio Calcagno, il prete scismatico che teorizzò una sua idea di cattolicesimo fascista, diede vita alla rivista Crociata italica, finì sospeso a divinis e scomunicato ed arrivò a un punto tale di rottura con la Chiesa che, davanti al plotone di esecuzione, rifiutò perfino il conforto di un sacerdote». Ma qui il discorso dovrebbe essere molto più ampio e riguardare storicamente le controverse relazioni intercorse tra la Chiesa e il regime nazifascista.
Tornando invece ai nostri giorni, non si creda che don Giulio Tam sia l'unico prete nero in circolazione. In questi giorni, funestati dalla vicenda Priebke, si è infatti molto agitato anche il suo collega lefebvriano don Floriano Abrahamowicz, parroco di Paese (Treviso), il quale - oltre a definire Priebke «un brav'uomo, vittima dell'ingiustizia italiana» -, ha aggiunto in un empito negazionista che «nei lager tedeschi le camere a gas servivano solo per sterilizzare gli abiti degli ebrei». Echi molto più soft di preti mussoliniani arrivano anche da Catania con don Antonio Lo Curto e dal Comasco con don Luigi Barindelli.
Sul fronte opposto, quello «comunista», fino a poco tempo fa c'era don Andrea
Gallo che in chiesa i suoi fedeli li accoglieva col pugno chiuso e al grido di «Bella Ciao». Don Gallo è morto e oggi tutti lo ricordano come un «eroe partigiano»e un «simbolo della libertà». Ma questa è un'altra storia...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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