Illustre presidente Giorgio Napolitano, perdoni, mi rivolgo a lei perché è l'unico che possa intervenire per porre fine a un caso clamoroso di ingiustizia sostanziale, che mi affretto a segnalarle. Mercoledì scorso un signore di 74 anni, G. V., ex artigiano nativo di Cenate Sotto e residente a San Paolo d'Argon (Bergamo), gravemente malato, è stato portato in carcere, dovendo scontare una condanna definitiva a 4 anni, 7 mesi e 7 giorni, per spaccio di cocaina, emessa dalla Corte di cassazione. Questa la notizia nuda e cruda. Non farebbe troppa impressione se non vi fossero dei retroscena (ufficialmente acclarati) meritevoli di menzione. Il reato in questione fu commesso nel 1990, circa un quarto di secolo fa. All'epoca, G. V. venne arrestato. Era novembre. Alcuni mesi dopo egli fu liberato in attesa di processo, che si celebrò in primo grado nel 1993. Verdetto: 10 anni e 8 mesi di galera. Trascorre una dozzina d'anni (una dozzina!) e la Cassazione ordina la ripetizione del processo. Passano altri 7 anni e l'appello si pronuncia: 8 anni di reclusione, di cui tre indultati. Il tempo scorre inesorabile, e siamo al 14 marzo 2014 quando la Cassazione conclude. Sentenza tombale: 7 anni e 8 mesi, di cui tre indultati. E il 26 marzo il condannato viene rinchiuso in cella.
Il suo avvocato, Marco Tropea (mio compagno di scuola), si dà da fare allo scopo di ottenere la sospensione della pena, o almeno la concessione dei «domiciliari», vista l'età del suo assistito (appunto 74 anni), che, peraltro, è in condizioni di salute più disperate che precarie. Risultato, per adesso, zero. D'altronde è nota la lentezza delle procedure. Presidente, non mi sarei mai permesso di disturbarla se la vicenda non fosse straordinariamente assurda e paradigmatica delle storture croniche del nostro sistema giudiziario. Una giustizia che impieghi 24 anni - diconsi 24 - per giudicare un uomo, colpevole o no che sia, è scandalosamente iniqua e non avrebbe i titoli per essere rispettata. Non intendo accusare i giudici, per carità. Sono convinto che essi applichino la legge scrupolosamente. Se però gli effetti prodotti dai codici correttamente interpretati sono questi, converrà almeno modificare il sistema.
In attesa di una (improbabile) riforma, sarebbe opportuno che lei si mobilitasse se non altro per sottrarre il mio conterraneo, protagonista della storia che le ho narrato, a una sorta di tortura indegna di un Paese civile. Infatti, aggiungo che G. V. dal 1990 a oggi non ha più sgarrato e si è comportato in modo ineccepibile. Ha lavorato onestamente, neppure una denuncia. Nonostante ciò, l'infernale macchina con ritmi lumacheschi è andata avanti e dopo la bellezza di 24 anni, quando l'imputato era ormai un'altra persona, anche biologicamente, e saltando a piè pari gli ostacoli della prescrizione, una brutta mattina ha presentato il conto tramite i carabinieri: non a un criminale, ma a un povero vecchio debilitato dalla malattia.
Non le sembra, signor Presidente, una crudeltà inaccettabile? In prigione a 74 anni per un reato talmente «facile» da accertare che i signori tecnici ci hanno messo 24 anni a giudicarlo? Mi pare una follia. Soltanto lei, Presidente, ha facoltà di rimediare. Le chiedo un gesto di pietà, diciamo di generosità: firmi la grazia. Che è sorella della Giustizia.
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