Censurati lo spostamento di data del reato per evitare la prescrizione e le «pressioni inopportune e reiterate» sul calendario delle udienze

Censurati lo spostamento di data del reato per evitare la prescrizione e le «pressioni inopportune e reiterate» sul calendario delle udienze

Milano Non è mai bello per un pubblico ministero sentirsi dire che ha toppato un processo. Soprattutto quando, come il pm milanese Fabio De Pasquale, a un processo e a un imputato ha sacrificato tempo, energie, speranze. Ma ancora meno bello è sentirsi accusare da una sentenza di avere forzato il codice, piegando le carte del processo ai propri obiettivi, con l’unico scopo di portare a casa comunque la condanna dell’imputato. Eppure esattamente questo è scritto nelle motivazioni della sentenza che ha prosciolto Silvio Berlusconi nel caso Mills.
Che tra De Pasquale e il giudice Francesca Vitale non ci fosse feeling lo si era capito fin troppo bene nelle lunghe ore delle udienze, quando il presidente bacchettava ad ogni pie’ sospinto le intemperanze verbali del baffuto pm messinese. Incompatibilità di carattere, si pensava. Ora si scopre che c’era qualcosa di più. C’era l’insofferenza del giudice per il pressing psicologico che il pubblico ministero cercava di realizzare sul tribunale, perché mettesse il turbo alle udienze: e già qui la Vitale si toglie un sassolino dalla scarpa, parlando nella sentenza delle «inopportune e reiterate sollecitazioni del pm al Tribunale sulla fissazione del calendario, dimentico sia del ruolo del presidente in materia di fissazione delle udienze, che degli altri e non certo modesti impegni dei singoli giudici». E c’era soprattutto un giudizio severo sull’operazione con cui De Pasquale aveva cercato disperatamente di salvare il processo dalla prescrizione, post-datando le accuse a Berlusconi.
Il pm, come è noto, nel 2007 spostò le lancette del reato: non più il febbraio 1998, quando i soldi vennero inviati a Mills, ma il febbraio 2000, quando Mills spostò i soldi da un conto all’altro: «Modifica - si legge nella sentenza - cui è difficile non attribuire l’intento di voler evitare la prescrizione del reato pur a fronte di una ipotesi accusatoria che costruiva la condotta come corruzione antecedente». Una forzatura del codice per la quale la Vitale ha un giudizio quasi sarcastico: «Ogni ricostruzione del momento consumativo del reato volta a farlo coincidere con la disponibilità e formale titolarità della somma promessa si scontra con questa semplice considerazione: se il denaro non fosse mai passato dal patrimonio indistinto gestito da Mills in Struie (un altro fondo dell’avvocato inglese, ndr) o vi fosse passato molti anni dopo, non è dato comprendere quando il reato si sarebbe consumato».

E non è tutto: la Vitale attribuisce a De Pasquale una «singolare tempestività» per avere precipitosamente chiesto e ottenuto la archiviazione di un altro fascicolo a carico di Mills, con l’unico obiettivo, essere sicuro che Mills in videoconferenza non potesse rifiutarsi di rispondere. Col senno di poi, tutta fatica inutile.

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