In cento uccise da (falso) amore

In cento uccise da (falso) amore

Femmisuicidio. Il neologismo è da brivido. Due morti in una sola parola. Una donna e un uomo. La prima vittima del secondo. Il secondo, vittima di se stesso. È accaduto ieri a San Giustino Umbro (Perugia) dove Christian Rigucci (28 anni), ha ucciso a colpi di pistola la sua ex fidanzata, Alexandra Buffetti (26 anni), e poi si è ammazzato. La tragedia all'una di notte. Sulla porta di casa di Alexandra uno zerbino con la scritta: «Ancora qui?». Sì, Christian era ancora lì. E questa volta era per ucciderla. E per uccidersi. Lui non aveva accettato la «rottura» del rapporto. E così ha «rotto» tutto, vite comprese. Dicono gli inquirenti: «Il giovane era rimasto molto legato alla ragazza e lei non aveva mai denunciato formalmente episodi di molestie o violenze». Dettagli irrilevanti alla luce di quello che è accaduto la scorsa notte. Due esistenze spezzate dalle pallottole: Christian attualmente non lavorava ma aveva un passato nell'Esercito; Alexandra faceva la cameriera in un locale della zona. Entrambi erano conosciuti a San Giustino come persone «normali» e «senza particolari problemi»: sempre le stesse - inutili - definizioni. In casa di Christian i militari hanno trovato una lettera d'addio in cui si faceva riferimento alla fine della relazione sentimentale con la fidanzata: «L'amavo, ma Alexandra mi ha lasciato...». E lui non si era rassegnato.
Poco dopo la mezzanotte alcuni amici di Christian, allarmati da messaggi ricevuti sul cellulare e temendo un gesto estremo, hanno contattato i carabinieri. Tutti si sono messi alla ricerca del ventottenne individuando poco dopo la sua auto parcheggiata davanti all'abitazione di Alexandra. Dopo avere suonato il campanello senza ottenere risposta, i militari hanno forzato una finestra e sono entrati in casa, trovando il cadavere della 26enne. A poca distanza c'era anche il giovane, con una ferita d'arma da fuoco alla testa. Era ancora vivo ma è morto poco dopo. Si archivia così il centesimo femminicidio dall'inizio dell'anno. A tenere la triste contabilità è il Telefono Rosa che parla di «vergogna intollerabile per un Paese “civile“». Nel 2012 le vittime di femminicidio, sempre secondo i dati dell'associazione nazionale di volontarie, sono state 124. La violenza sulle donne si scatena quasi sempre all'interno delle mura domestiche. L'autore è nel 48% dei casi il marito, nel 12% il convivente nel 23% l'ex; si tratta poi di un uomo tra i 35 e i 54 anni nel 61% dei casi, di un impiegato nel 21%, e di una persona istruita (il 46% ha la licenza media superiore e il 19% la laurea). Il persecutore non fa poi in genere uso di alcol e di droghe (63%). Anche il profilo della donna-vittima descrive una persona piuttosto «normale»: una donna di età compresa fra i 35 e 54 anni, con la licenza media superiore nel 53% e la laurea nel 22%.

La maggior parte delle violenze continuano ad avvenire in casa, all'interno di una relazione «sentimentale» (84%), in una famiglia «normale». Un quadro da cui emerge che la violenza sulle donne è ancora molto radicata nei contesti «normali» di vita.
E questo aggettivo - «normale» - che torna sempre, in una società che di «normale» non ha più nulla.

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