CHI NON TIFA ITALIA PESTE LO COLGA

Marco Travaglio lo ammette: non tifo per l'Italia, ma per la Germania. Perché? Secondo il vicedirettore del Fatto quotidiano se vicnessero gli azzurri gli italiani si dimenticherebbero degli scandali del calcio...

CHI NON TIFA ITALIA PESTE LO COLGA

Immagino che Marco Travaglio sarà scomunicato perché ha con­fessato durante una puntata di Un giorno da pecora ( programma ra­diofonico trasmesso da Radio 2) di ti­fare contro la Nazionale italiana di calcio, impegnata a farsi eliminare dai Campionati europei in corso. Il suo cuore, ha detto il famoso giornali­sta (vicedirettore del Fatto Quotidia­no ), batte per la Germania, soprattut­to, ma non solo. Perché? Se ho ben ca­pito, in passato non era così. Egli, per esempio, ricorda di aver sostenuto con entusiasmo gli azzurri quando erano guidati da Enzo Bearzot, Dino Zoff e Giovanni Trapattoni. Quello di Travaglio, quindi, non sa­rebbe un pregiudizio nei confronti della nostra rappresentativa naziona­le in genere, bensì di questa squadra agli ordini di Cesare Prandelli. Per un motivo preciso. Quale? Essa è il pro­dotto di un calcio malato, praticato da parecchi atleti corrotti, pronti a vendersi le partite per lucrare denaro attraverso scommesse sulle loro stes­se prestazioni. Su questo punto è difficile dare tor­to al vicedirettore, la cui mentalità, nota a chiunque legga i suoi sferzanti editoriali, è quella di un giornalista le­galitario, inflessibile e capace di co­niugare la propria rigidità morale con una prosa godibile, spiritosa. In­somma, l’uomo può essere antipati­co per le posizioni che assume - spe­cialmente in politica- ma sarebbe as­surdo negarne l’abilità. Detto questo, e precisato che cia­scuno è libero di pensarla come cre­de su tutto, incluso lo sport, non sia­mo d’accordo con lui su un particola­re. Sia chiaro, anche a noi non vanno a genio coloro che, ben remunerati, giocano al pallone non per vincere sul campo, ma al botteghino delle puntate. Ci mancherebbe. E ci augu­riamo che lo scandalo venga stronca­to. Il problema però qui è un altro. Sia­mo sicuri che la rosa a disposizione di Prandelli sia composta da farabut­ti? Non direi. Perché allora essere co­sì severi e ingiusti con loro, sperando addirittura che vengano eliminati, quando (per altro) saranno eliminati lo stesso senza le gufate di Travaglio? È vero che nel 2006 l’euforia per la vittoria degli azzurri ai Mondiali can­cellò le porcherie di Calciopoli. Peg­gio: alcuni cialtroni vennero perse­guiti, altri no, secondo il costume sportivo-giudiziario. Però non è scontato che un’eventuale (e impro­babile) affermazione di questa équi­pe­agli Europei trasformerebbe i pro­cessi in corso in una «festa del perdo­no ». Inoltre, non è lecito fare di ogni erba un fascio: la percentuale dei ma­riuoli con le scarpe bullonate è mini­ma rispetto alla totalità degli atleti. E coinvolgere nel disprezzo anche la maggioranza che tira pedate oneste non è un’operazione corretta. C’è poi un aspetto della questione che merita un discorso a parte. Il co­siddetto «tifo contro» sarà pure legit­timo, ma alimenta non solo la male­ducazione da stadio: anche la violen­za. Lo sport, almeno in teoria, dovreb­be essere scuola di lealtà. Nel calcio invece assistiamo a episodi disgusto­si. I supporter del Toro odiano gli ju­ventini. Quelli dell’Inter odiano i mi­lanisti, ampiamente ricambiati. La­ziali e romanisti non sono più signo­ri: ogni due per tre si menano per un corner. Il «tifo contro» è talmente acceso che gli appassionati godono di più per la sconfitta dei «nemici» che per il trionfo degli «amici». Un fenomeno assurdo, illogico, insensato. Non sap­piamo se sia soltanto italiano o se si re­gistri anche in Inghilterra, Francia, Olanda eccetera. Ma è certo che fa ri­brezzo e declassa lo spirito sportivo a sentimento abietto. Ahimè assai dif­fuso in vari ambienti. Rammento i pa­dani che, alcuni anni orsono, tifava­no contro l’Italia e a favore dell’Irlan­da perché aveva le maglie verdi, tan­to per citare una bischerata clamoro­sa. La nostra non vuole essere una le­zioncina a sfondo moralistico, per ca­rità, né un richiamo al patriottismo pedatorio. È solo un’osservazione. Il calcio, pur essendo la disciplina più popolare nel nostro Paese, fa di tutto per suicidarsi con l’aiuto di numero­si suoi protagonisti.

Vediamo di non dargli una mano- e una penna di livel­lo - a realizzare l’insano proposito. A Travaglio chiediamo uno sforzo: quello di non essere ostile agli azzur­ri; basta l’indifferenza. E poi, Marco, la Germania no! Accontentati della Merkel.

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