Nel 1984, trent'anni fa, moriva Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano (il più importante e imponente del mondo occidentale), oggi formalmente morto, ma tenuto artificialmente in vita dai comunisti di risulta, non più numerosi quanto allora, ma nemmeno così pochi da non contare nulla. Diciamo che ce ne sono abbastanza per alimentare - con la collaborazione dei pauperisti cattolici - una mentalità antagonista a quella pseudoliberale cui s'ispirano i partiti della Seconda Repubblica. È prevedibile che nei prossimi giorni si scateni la retorica nostalgica dei bei tempi in cui il marxismo era considerato una macchina non perfetta ma perfettibile, al contrario del capitalismo, un rudere irrecuperabile destinato ad appassionare soltanto gli archeologi.
L'utopia comunista è stata archiviata dappertutto, perfino in Cina. Resiste solo nella Corea del Nord, e abbiamo detto tutto, nonché dalle nostre parti, dov'è addirittura rimpianta. Dubito che chi ha meno di 50 anni sappia qualcosa di Berlinguer, quindi non varrebbe la pena di parlarne. Poiché tuttavia ne tratteranno diffusamente giornali, televisioni, saggi e film (Eugenio Scalfari ha già cominciato ieri sulla Repubblica, paragonando l'illustre defunto a Papa Francesco), non possiamo tirarci indietro. E con la consueta franchezza diciamo che il de cuius era una persona perbene, educata e capace. Ciononostante non è vero che abbia cambiato il costume politico della sinistra. Ci ha provato, questo sì, ma non c'è riuscito.
Nel tentativo di modernizzare il Pci, teorizzò il «compromesso storico», poi l'«eurocomunismo». Il primo non era altro che una sorta di «larghe intese» ante litteram, che prevedeva un'alleanza di governo tra Pci e Democrazia cristiana; il secondo non si è mai capito cosa fosse, tant'è che qualcuno lo definì acidamente «neurocomunismo», cioè materia psichiatrica. Berlinguer probabilmente intuiva che il marxismo, lo stalinismo e perfino il leninismo non rispondessero più alle esigenze della società moderna, e tentò di voltare pagina, nella consapevolezza che il suo partito non sarebbe mai riuscito a conquistare il potere con le proprie forze. S'impegnò pertanto a ripiegare su una coalizione progressista comprendente i cattolici di sinistra (per esempio basisti della Dc e affini), avviando un rapporto stretto con Ciriaco De Mita, più aperto ai comunisti che ai socialisti craxiani.
Un esperimento in questo senso fu fatto dopo l'assassinio di Aldo Moro, quando il terrorismo minacciava l'ordine democratico. Ma l'esperienza non durò a lungo. Cosicché Berlinguer batté il chiodo dell'«eurocomunismo», senza però spiegare in che cosa consistesse questa formula astrusa e tuttavia in grado di affascinare intellettuali e varie sottospecie. Il segretario del Pci divenne un eroe nel momento in cui annunciò di essersi distaccato dall'Unione Sovietica, dalla quale Botteghe Oscure aveva ottenuto, per lustri e lustri, lauti finanziamenti per imporsi in Italia. Quell'episodio fu enfaticamente etichettato come uno strappo. In realtà non era neanche una smagliatura.
I legami tra Mosca e i «sudditi» del Pci proseguirono e i rubli piovvero a Roma almeno sino al 1989, allorché cadde il Muro di Berlino e i comunisti italiani ottennero dal Parlamento dell'epoca un'elegante amnistia che cancellò il reato rosso di finanziamento illecito. I cretinetti del pentapartito invece non smisero d'incassare denaro attraverso le tangenti e furono sterminati dalla famosa inchiesta Mani pulite. Chiariti questi particolari, si comprendono molte cose della recente storia patria. Soprattutto si comprende perché il Pci, sotto mentite spoglie, andò al governo mentre la Dc, il Psi, il Psdi, il Pli e il Pri finirono in tribunale e in galera.
Berlinguer, occorre precisare, ebbe il genio di inventarsi la cosiddetta «questione morale», avendo scoperto che i partiti, compreso il suo, incassavano quattrini illeciti (o sporchi, vedete voi). Aveva ragione, ma avrebbe fatto meglio a dire la verità invece di limitarsi ad accusare gli altri di arricchirsi con le stecche, quando anche il Pci si fece nutrire dall'Urss finché questa non perì. È la solita storia della pagliuzza e della trave.
In ogni caso, il padre del «compromesso storico» non riuscì a realizzare neanche uno dei propri sogni per un motivo semplice e drammatico: il Pci, date le radici sovietiche, non aveva i requisiti di purezza per andare al governo in un Paese occidentale, amico degli Stati Uniti, quale il nostro. Gli italiani non lo avrebbero mai votato in quantità sufficiente a dargli la maggioranza e, qualora si fosse presentato alle elezioni in compagnia della Dc, la maggioranza dei sostenitori democristiani sarebbe scappata inorridita.
Solo in una circostanza, Berlinguer trionfò. Fu quando egli morì. Alcune settimane dopo si votò per le europee e il Pci per la prima volta superò alle urne la Dc. Non accadde più. Poi venne Matteo Renzi che andò a Palazzo Chigi vincendo alla lotteria.
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