Chiedono la testa di Roberto Formigoni Ma Errani e Vendola?

I presidenti di Emilia Romagna e Puglia sono indagati, quello della Lombardia no Ma giornali di sinistra e «Corriere» ignorano quelle inchieste: meglio i viaggi del Celeste

Chiedono la testa  di Roberto Formigoni Ma Errani e Vendola?

L’avviso di garanzia non gliel’ha recapitato nessuna delle scalpitanti procure d’Italia. In compenso a Roberto Formigoni è arrivato un preavviso di sloggio, firmato dai grandi giornali italiani: da giorni il Corriere della sera sommerge il lettore di articoli zeppi di cifre, compravendite vertiginose e viaggi aerei, spifferi di verbale, ricostruzioni di amicizie più o meno interessate e più o meno pelose, foto a sfondo gaudente e fondale cristallino. Repubblica, esaurito l’inesauribile filone berlusconiano del bunga bunga, si è lanciata sulle bugie, presunte, e i balbettii del Celeste, con corredo album vacanze formato pacchetto caraibico. L’Unità che non dimentica il suo glorioso passato è più tranchant «Formigoni non può più restare» (nella foto il titolo della prima pagina di ieri). Intendiamoci, i giornalisti fanno il loro mestiere e fare le pulci al governatore della più muscolare regione del Paese è l’abc della professione. Quello che non si capisce è perché la stampa, e non solo quella, addenti l’osso a intermittenza. Ci sono altri due governatori, non proprio personaggi sbiaditi, che navigano in acque agitate, ma taccuini e obiettivi si riempiono solo di sbadigli al sentir pronunciare il loro nome. Eppure Vasco Errani, potente numero uno dell’Emilia Romagna, e Nichi Vendola, il signore della Puglia, hanno i loro acciacchi.

Loro sì che sono indagati, a differenza del tanto vituperato Celeste, e devono difendersi da accuse che hanno a che fare con il codice penale. Errani è finito in un pasticcio in cui il nome di famiglia risuona addirittura due volte: Il fratello Giovanni deve rispondere di truffa per i soldi incassati dalla cooperativa di Bagnocavallo, Terremerse. Attenzione: il raggiro avrebbe avuto come vittima proprio la Regione amministrata dal fratellino che, a sua volta, avrebbe offerto false informazioni alla magistratura per tutelare il fratellone. E questo non a freddo, ma, peggio, dopo aver letto gli articoli del Giornale che aveva denunciato lo scandalo. Almeno a prima vista, c’è un intreccio da far girare la testa fra soldi pubblici, interessi privati, prediche sulla legalità e comportamenti obliqui. Le accuse sono tutte da provare e però il canovaccio, anche solo a scorrerlo, è imbarazzante, E infatti il governatore ha sussurrato al Foglio che se il fratello sarà rinviato a giudizio lui si dimetterà. Per metà giugno la magistratura emetterà il suo verdetto, ma, intanto, non c’è nessuno che conti i giorni del traballante presidente e gli ricordi, o peggio gli rinfacci, la sua, sempre presunta disinvoltura. Errani dirige la regione rossa per eccellenza, il simbolo di un sistema di potere. Che noia. I giornali inseguono i costumi da bagno colorati più della camicie, i resort più stellati di un planetario, la grandeur meneghina e a tratti proterva del padre padrone asserragliato al trentacinquesimo piano del suo grattacielo, le sue amicizie non sempre monacali. Errani invece, pietrificato su un monolite immobile dal 1945, non incuriosisce. Non suscita sorrisi assassini e occhiate malandrine.

E anche Vendola, figuriamoci, avviluppa nella sua narrazione, vocabolo molto vendoliano, tutte le critiche. E così il peggio che gli può capitare è subire la parodia, dolce come lo zucchero, di Checco Zalone. Vendola, modesto dettaglio, è indagato non una ma due volte. È sotto i riflettori della magistratura per abuso d’ufficio perché avrebbe fatto riaprire i termini di un concorso, e poi per una transazione da 45 milioni di euro con l’ospedale Miulli di Acquaviva. Lui ironizza e spiega in termini lirici il paradosso di Vendola: l’hanno indagato perché ha fatto vincere il più bravo. Sarà. Intanto, molte gemme della sua corona, i Frisullo, i Tedesco e via andare, hanno conosciuto la notorietà nazionale solo a colpi di avvisi di garanzia e richieste di manette e verbali su verbali. Non importa. La narrazione vendoliana non ha perso un grammo del suo fascino.

E non importa nemmeno che il Gip abbia scritto testualmente: «La prassi dello spoil system era, di fatto, talmente imperante, nella sanità regionale da indurre Vendola addirittura a pretendere il cambiamento della legge». Troppo difficile. Meglio i tuffi e le ricevute di Daccò.

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