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È come se un giorno incontrassimo in giro i mammut. Diamine, ma non erano spariti in qualche era geologica di milioni d'anni fa? Improvvisamente, il ragioniere. Lo davamo tutti per estinto, all'inizio inerme bersaglio nella caccia grossa della new economy, quindi definitivamente sterminato durante la furibonda epopea (sai che epopea) della finanza spregiudicata. Nella jungla dei denari facili e dei bilanci acrobatici, si pensava (...)
(...) che il re leone fosse il supermanager, con la sua collezione di master alla Bocconi e il suo indefesso pendolarismo verso le Isole Cayman. E il glorioso ragiunatt? Obsoleto. Superato dai tempi e dagli eventi. Lui con i suoi manicotti e la sua visiera, i suoi occhialini e la sua faccia smorta, così come l'abbiamo sempre considerato, anche al tempo di Internet.
Evidentemente c'è un clamoroso errore di valutazione. Spinelli arriva a sconfessare le affrettate conclusioni: il ragioniere è vivo e lotta in mezzo a noi. Troppo precipitosi, nel darlo per finito. Del resto non è neppure la prima volta: ciclicamente ci ritroviamo a scoprire attualissimi tanti oggetti e figure d'epoca, sopravvissuti al tempo e all'oblio, così per la Vespa, così per il vinile, così per il loden, così per il tangentaro.
Diciamo che il ragioniere l'avevamo perso di vista, questo sì. Piuttosto rari, ultimamente, gli avvistamenti. L'esemplare più noto risale indubbiamente agli anni Sessanta, quando comincia a comparire e a proliferare nelle distese sconfinate del nostro boom economico. È lì che questa particolare specie trova il suo habitat ideale e velocemente si moltiplica. Per almeno due decenni buoni, Sessanta e Settanta, più o meno tutte le famiglie italiane coltivano il sogno di allevarne uno in casa. Furoreggiano le leggendarie scuole di Ragioneria, dove la ferrea legge della partita doppia viene inculcata con metodica fanatica, come un'arte raffinata.
Il fatto è che bisogna avere requisiti particolari, inutile girarci attorno. Ragioniere si nasce, non si diventa. Essenziali alcuni requisiti di base. Il più importante: la riservatezza. Un ragioniere con la maiuscola non dice mai, in tutta la sua onorata carriera, una parola in più. Sempre una in meno. Questo è assodato. Lavora a testa bassa, diligente, obbediente, fedele, senza chiedere niente. Senza chiedersi niente. La sua dedizione al capo è totale, non a caso fa rima con devozione. Tutto questo è possibile soltanto grazie al secondo requisito fondamentale: uno spirito di sopportazione disumano. Il ragioniere tipo è in grado di reggere agilmente anche un capo incommensurabilmente lunatico, isterico, dispotico. È proprio lì, nei casi estremi, che si nota la classe: più quello infierisce, più il braccio destro sopporta e incassa. Se il capo è incendiario, il ragioniere è pompiere.
Certo queste attitudini espongono lo stimabile ragioniere anche a tutta una serie di giudizi severi. Il suo servizio viene immancabilmente scambiato per servilismo. Di più: il ragioniere è considerato privo di fantasia, di afflato romantico, di senso dell'ironia. Molti arrivano addirittura ad incasellarlo tra gli invertebrati, tuttora incapace di camminare a busto eretto. Lungo questo filone si è così sviluppata negli anni una letteratura ironica e caricaturale, che lo colloca ai gradini più bassi della scala umana, praticamente tra i molluschi: la fortunatissima serie sul Rag. Ugo Fantozzi ne è la massima rappresentazione. La sua immagine è così radicata nella cultura popolare, da provocare nel tempo un cambiamento epocale: fino ai primi anni Ottanta gli italiani mostravano con orgoglio il loro biglietto da visita con il «Rag.» davanti, adesso lo nascondono. Piuttosto che dichiararsi ragionieri, raccontano di essersi fermati alla quinta elementare.
Alla fine è inevitabile che non se ne incontri più nemmeno uno. Poi, improvvisamente, Spinelli.
di Cristiano Gatti