il commento 2 Ma così il Fisco beffa i contribuenti

di Francesco Forte

L'aumento della aliquota Iva ordinaria dal 21 al 22 per cento è un'operazione ad alto rischio e minimo o nullo o negativo rendimento. Il risultato dell'aumento dal 20 al 21% attuato lo scorso anno dovrebbe far riflettere sull'esito di questa ulteriore manovra. Il gettito è calato di 7 miliardi su base annua. Poiché si stima che l'attuale maggiorazione dovrebbe dare 4 miliardi su base annua, data questa esperienza l'effetto, anziché essere zero, in termini di maggiore entrate, sarebbe nullo o peggio. Certo, la flessione dell'Iva che si è verificata è dovuta anche alla concomitante introduzione della tassazione immobiliare con un aggravio di 14 miliardi rispetto al gettito dell'Ici. Quest'anno, al contrario, si spera che l'Imu sulla prima casa venga tolta, rimettendo in circolo 4 miliardi. Ma l'effetto si avrà soprattutto dal prossimo anno, perché per ora lo sgravio da tale tributo consiste in un semplice rinvio. Insomma, l'aumento dell'Iva al 22% potrebbe avvenire adesso, mentre lo sgravio sulla prima casa è solo una promessa. Così il fisco e per esso il governo befferebbe il contribuente: mentre dice di voler ridurre le imposte a carico delle famiglie, in realtà le aumenta. Trattare così il contribuente, forse nei saggi di economia pura con cui taluni ottengono cattedre universitarie dà luogo all'equilibrio macro economico. Ma gli studiosi di economia tributaria sanno che l'adesione del contribuente al dovere fiscale dipende in gran misura da fattori psicologici e sociali riguardanti il rapporto del cittadino con fisco e governo. E il consumo interno e la voglia di investire hanno bisogno di rassicurazioni non di prese in giro e di nuovi tributi. Nell'Eurozona solo Portogallo, Grecia e Svezia hanno un'Iva superiore al 21 per cento e la Germania ha il 19%, la Francia il 19,6%. D'altra parte, il nostro gettito Iva è minore della media europea perché abbiamo un'evasione molto ampia, molti esoneri e le aliquote ridotte hanno un ventaglio molto ampio. Se la previsione è che l'aumento di un punto di Iva ordinaria renda solo 4 miliardi, mentre il gettito complessivo del tributo è attorno ai 300 miliardi, ciò dipende dal fatto che generi alimentari, agricoltura, abbigliamento e altri consumi di base sono tassati al 4 e al 10 per cento. L'aumento dell'aliquota normale esaspererebbe l'irrazionalità del tributo e renderebbe ulteriormente difficile la lotta all'evasione, che, da quando sono state abrogate le dogane fra i paesi dell'Ue si è accresciuta. La tesi per cui bisognerebbe aumentare le imposte sui consumi e ridurre quelle sul lavoro, che viene spacciata come alta scienza economica, in realtà non è tale perché gli studiosi sanno che la tassazione dei consumo è in larga misura un tributo sui salari.

Si tratta di un'elegante illusione fiscale. E aumentare l'aliquota ordinaria di un'imposta sforacchiata per cercare di prendere due miliardi, anziché limare le spese, non è un'operazione ragionevole di consolidamento fiscale per un'economia in recessione.

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