Inutile minimizzare il caso Siena. È l'emblema del potere Pd

Non fosse per le invettive di Beppe Grillo, lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena sarebbe quasi sottratto al dibattito politico: rubricato a una questione strapaesana o episodio di cronaca nera. Non è così: la vicenda, ad esempio, ha infatti un profilo diverso rispetto al «caso Ruby». Il disastro bancario senese è figlio di un lungo intreccio tra politica e affari, che ha raggiunto dimensioni spropositate.
Taluni dettagli ovviamente non sono ancora del tutto chiari e le colpe individuali restano da stabilire. Una cosa è però già chiara, e cioè che la cattiva gestione non è disgiungibile dal complesso insieme di scambi di favori e finanziamenti, di cooptazioni e aiuti che, nel corso dei decenni, ha consolidato il potere della sinistra nella città toscana e in larga parte d'Italia.
Per la città di Siena le conseguenze dei pessimi comportamenti tenuti dagli amministratori (e da quanti li hanno politicamente coperti) rischiano di essere devastanti. Ma poiché abbiamo a che fare con la terza banca italiana, le ripercussioni vanno ben oltre questo territorio.
Per tutti questi motivi il Pd non può nascondere la testa sotto la sabbia. È infatti indispensabile un ripensamento radicale del sistema economico, che deve esigere non solo una «nuova moralità», come predica Grillo, ma soprattutto l'uscita dei partiti e dello Stato dall'economia.
Il vecchio Pci si è sempre vantato, a torto o a ragione, della propria «diversità». La vicenda senese evidenzia che questa alterità, se mai è esistita, non c'è più. E se il Pd vuole cambiare davvero deve non soltanto riconoscere le proprie responsabilità politiche, ma soprattutto deve individuare quelle regole - a partire dal superamento delle attuali fondazioni lottizzate - che hanno permesso la distruzione di un così grande capitale.
Per tale motivo, ben prima che del taglio del numero dei parlamentari, ogni ragionamento sul nuovo esecutivo dovrebbe preoccuparsi di questo, perché restituire la finanza al mercato è ben più cruciale che cancellare le province o ridurre le spese per la diplomazia. In fondo, al Pd non è servito minimizzare e i risultati elettorali lo dimostrano, poiché è stata l'alleanza di centrosinistra a pagare il prezzo più alto del decadimento morale della politica. Bersani si è presentato ai seggi vestito da papa e ne è uscito cardinale.
Ora il Pd vorrebbe sfidare Grillo sul terreno del populismo e sbaglia di nuovo, perché dovrebbe invece stanarlo su quello delle vere riforme, così da mostrare la pochezza dei cinquestelle.

Per non perdere sempre, dovrebbe insomma ammettere una volta per tutte che la questione cruciale è quella del sottopotere: che vuol dire mettere sul mercato le banche, ma anche le municipalizzate, la Rai, Finmeccanica, le Poste, le Ferrovie, e via dicendo.
Lo capiranno? Difficile essere ottimisti.

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