Corse, rivalità e sussurri: i cronisti ai tempi del Cav

Corse, rivalità e sussurri: i cronisti ai tempi del Cav

«Ci si vede a Grazioli». Eccola la parola d’ordine della “Succursale della fioriera”, il giornalismo ai tempi di Silvio Berlusconi. Una redazione a parte, ma trasversale. Fatta di cronisti che spesso e volentieri erano gli uni contro gli altri armati. Ma che stavano sempre quasi tutti lì, appostati in via del Plebiscito 102 senza neanche una panchina su cui sedersi. Chi senza sosta dalla mattina alla sera, chi di passaggio e, non certo per caso, spesso nelle ore più improbabili. Non per autolesionismo, sia chiaro. Semplicemente perché – professionalmente parlando – poteva essere il momento migliore. L’attimo in cui non c’era nessun altro e magari si riusciva a carpire qualche dettaglio in più rispetto a una concorrenza che in quegli anni era agguerrita davvero. A volte persino troppo, senza esclusione di colpi né remore. Una sorta di delirio ossessivo-compulsivo. Avanti e dietro intorno a Palazzo Grazioli, a piedi o in scooter tra via del Plebiscito, via della Gatta e via degli Astalli, che fosse notte o che diluviasse.
Una sorta di fortino sotto assedio. Davvero roba da matti, ma con l’attenuante che ai giorni nostri – passati decenni – è difficile comprendere davvero un mondo dove l’informazione viaggiava a un centesimo della velocità a cui siamo ormai assuefatti.
Una politica senza le dirette dei canali all news o gli aggiornamenti in tempo reale dei siti internet. E senza i social che rimbalzano qualunque sfumatura di un gesto o una parola. E poi non c’era la deriva della disintermediazione a tutti i costi di questi anni, in cui un qualsiasi politico – che sia consigliere comunale o presidente del Consiglio – può prendere il suo smartphone e parlare direttamente al Paese. Cosa buona e giusta, sia chiaro, purché non diventilo strumento per sfuggire a quel confronto con la stampa che è uno dei termometri delle democrazie occidentali. Ecco, negli anni della “Succursale della fioriera” l’unica vera strada per provare a carpire parole e pensieri di un leader politico era essere fisicamente sul marciapiede, intercettarlo. E se lui non c’era, via alla conta di chi entrava o usciva da Palazzo Grazioli, perché a quei tempi – senza whatsapp e le videocall – le riunioni si facevano solo in presenza. Ma pure incrociare una qualche segretaria o i ragazzi della scorta (alcuni oggi fanno lo stesso lavoro di un tempo con Giorgia Meloni) poteva essere prezioso. Ne sa qualcosa un collega di un’agenzia di stampa che detiene il copyright del “menù tricolore” del cuoco Michele, che per anni è rimbalzato nei pezzi di giornali e tg.
La premessa è fin troppo lunga, ma d’obbligo. Per dare un senso a un racconto che oggisembra fuori dal tempo. E che – al netto di quanto sia cambiata la comunicazione – ha incrociato la miscela esplosiva di un Berlusconi che negli anni d’oro raramente si è sottratto alla stampa. Anzi, che si è prestato ben volentieri per quasi un ventennio. Fermandosi con qualunque giornalista lo incrociasse, con buona pace e pazienza del suo storico portavoce Paolo Bonaiuti. Poteva essere durante una delle innumerevoli passeggiate serali per i negozietti di via del Plebiscito. O quando andava alla Camera, dove al suo arrivo i giornalisti erano schierati un po’ dappertutto - ingresso lato garage, accesso fronte Chigi su via dell’Impresa e ascensore piano Aula- manco fosse una partita a Risiko. Lo sapeva bene Marco Ferretti, storico capo dei commessi di Montecitorio, che per anni ha governato questo folle gioco, parente prossimo del nascondino, il cui obiettivo finale era solo quello di dare un «buco» ai colleghi.
Eccola la “Succursale della fioriera” di Palazzo Grazioli, perennemente sotto l’assedio del cosiddetto circo mediatico. Solo posti in piedi, fatta eccezione per due grossi vasi- gli unici dai quali si riusciva a scorgere l’ingresso - dove potersi sedere. Scomodamente, certo. Ma sempre con grande sollievo. Una sorta di tribuna vip del giornalismo da strada. Che teneva banco dal lunedì alla mattina del sabato, quando- solitamente intorno alle 6.45- il Cavaliere usciva per andare a Ciampino diretto a Milano. «Ma che ci fate qui a quest’ora? Non ce l’avete una famiglia? Ditelo aivostri direttori che non parlo», era l’esordio. E poi giù a dichiarare a ruota libera.
Inevitabile, dunque, il cortocircuito.
Con una corsa a perdifiato tra colleghi ad avere una battuta in più degli altri. Una guerra senza esclusione di colpi soprattutto negli anni in cui il Cavaliere era a Palazzo Chigi, in particolare tra quotidiani e agenzie di stampa. Un inseguimento continuo, anche in macchina per le strade di Roma quando l’Audi blindata di Berlusconi lasciava la sua residenza con destinazione ignota. Se lo ricorda ancora un cronista di agenzia che si trovò a litigare con un noto collega della carta stampata intento a giocare con l’acceleratore del suo scooter solo per ingolfarlo. Una rivalità sfrenata anche davanti all’innocenza di una stagista di una importante agenzia di stampa. Che dopo aver lasciato il presidio della fioriera perché rassicurata dai colleghi che si stava sbaraccando («è tardi, a domani») scoprì che pochi minuti dopo Berlusconi non solo era uscito ma si era pure attovagliato a piazza Navona insieme ai colleghi dei quotidiani. Alla fine, la sventurata riuscì comunque ad arrivare trafelata al caffè “Tre scalini”. Ma senza potersi avvicinare al Cavaliere. La scorta non la conosceva e quando chiese ai giornalisti già seduti se fosse una collega, la risposta fu spietata e all’unisono: «Mai vista prima».
Insomma, una guerra in cui non si facevano prigionieri. Con alcuni giornalisti che avevano l’abitudine di sussurrare le domande all’orecchio di Berlusconi. Lui rispondeva a voce alta, certo. Ma se si limitava a un «sì» o un «no», nessuno dei presenti riusciva a capire di cosa si stesse parlando. Una concorrenza spietata al punto che in un’occasione, pur di velocizzare l’uscita di una dichiarazione del Cavaliere che smentiva quanto scritto da un quotidiano corrente, ci fu un collega della carta stampata che chiamò direttamente il desk di un’agenzia di stampa. «Tizio ha il cellulare scarico, ha detto di chiamarvi e battere questi tre flash».

Un minuto ed era tutto in rete, con gli ignari colleghi delle agenzie che ancora stavano sbobinando.
Di episodi da raccontare ce ne sarebbero a decine, a testimonianza di una stagione giornalisticamente irripetibile. D’altra parte, davanti a Palazzo Grazioli nemmeno le fioriere ci sono più.

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