«Così cercano di arginare la fuga da questo capo»

Carlo Rossella, Hermès ora fa le cravatte con fantasie dal mondo dei computer...
«Ma no. Beh, se le metteranno gli informatici, gli internettiani... Quelli di Apple, di Microsoft, di Hewlett Packard, che viaggiano con abito e zainetto».
Ma un marchio come Hermès può cambiare così?
«Probabilmente il computer ha fatto talmente innamorare le persone da finire sulle cravatte. Sono mode. Del resto nel mondo ho visto di tutto: un museo degli orrori. Però mai una casa così seria...»
E come se lo spiega?
«Avranno fatto le loro ricerche di mercato. Magari in Cina, in Giappone, nella Silicon Valley può funzionare. Penso che puntino a riacchiappare chi ormai non usa più la cravatta cioè, soprattutto, gli uomini del web. Del resto io stesso, che ne possiedo centinaia, ormai la indosso soltanto se sono obbligato».
Una strategia di mercato?
«Molti non portano più la cravatta. Forse Hermès ha reagito a questa fuga e, per farlo, ha deciso di ispirarsi alla vita reale. Bisogna vedere le vendite: se piacerà a chi non le porta più, forse avranno fatto bene».
Quindi ha un senso, secondo lei?
«Da Hermès sono seri, ho comprato una loro cravatta anche stamattina in aeroporto a Parigi. Tinta unita, è ovvio. Ma avranno fatto degli studi di marketing: certo vorrei vederli, e vedere pure chi li ha fatti».
Ma le fantasie o i colori «originali» sono sempre da bocciare?
«Dipende. Io capisco la cravatta del Reggimento, per esempio, come quella che porta il principe William.

O quella di un club».
Insomma la cravatta con la tastiera firmata Hermès, sì o no?
«Contrarissimo. Perché non la comprerei mai. A me sembra follia. Allora facciamola con la sveglia, così ce la mettiamo direttamente al collo...»

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