Così l'Europa non ha rivali e supera Cina e Stati Uniti

La crisi del debito sovrano ha riacceso il dibattito sulla necessità di procedere in una direzione precisa: quella che porta agli Stati Uniti d'Europa

Così l'Europa non ha rivali e supera Cina e Stati Uniti

La crisi del debito sovrano - con la conseguente minaccia di implosione dell'euro - ha riacceso il dibattito sulla necessità di procedere in una direzione precisa: quella che porta agli Stati Uniti d'Europa. Alla nascita di un unico, grande interlocutore sulla scena internazionale politica ed economica, in grado di fronteggiare gli Usa e la Cina.
In queste pagine il Giornale ha voluto dimostrare come il Vecchio continente, sotto molti punti di vista, sulla carta è già vincente sia per quanto riguarda la solidità dei conti pubblici o dell'industria, sia dei diritti umani, del rispetto dell'ambiente o dello sport. A patto, però, che l'Europa del futuro non sia come oggi il regno dei burocrati e delle gelosie nazionali, ma una federazione di Stati. Capace di identificarsi in un sogno che, in fondo, aveva già realizzato l'imperatore romano Marco Aurelio.

testi a cura di Riccardo Casioli, Tony Damascelli, Gian Maria De Francesco, Andrea Nativi, Rodolfo Parietti e Rolla Scolari

Bruxelles batte Washington e doppia Pechino nella gara del pil

Se pensassimo all’Europa del futuro come a una federazione di Stati mutuando il modello americano, la nostra prospettiva cambierebbe: un unico bilancio, una sola politica finanziaria, fiscale ed economica e una banca centrale provvista di spalle più larghe per permettere all’Europa liberare il potenziale finora inespresso. L’ideale sarebbe l’aggregazione più ampia possibile,cioè quella dei 27 Stati che attualmente compongono l’Unione europea. Le cifre parlano chiaro: stiamo parlando di uno Stato con 500 milioni di abitanti (contro i 310 milioni degli Usa), una ricchezza complessiva superiore a quella statunitense, esportazioni inferiori solo alla Cina e con un rapporto debitopil e deficit-pil nettamente più favorevole rispetto a quello di Washington. A parte la pantomima un po’ comica sul rifinanziamento del tetto del debito da parte del Congresso, nessuno ha però mai messo in discussione la capacità degli Usa di ripagarlo, per quanto astronomico esso sia (circa 12.500 miliardi di euro), e nonostante alcuni Stati dell’Unione (come la California) siano di fatto in bancarotta. Il motivo è presto detto: gli Stati Uniti d’America sono un’unica entità, con un solo debito garantito da un unico Tesoro. Certo, considerato che la Gran Bretagna non hanno aderito all’unione monetaria, è più probabile pensare a una convergenza federalista da parte dei 17 Paesi dell’euro zona. Prima bisognerà superare le riserve della Germania sulla mutualizzazione del debito. Ma il fiscal compact , il Trattato sulla stabilità che ob­bliga a comportamenti virtuosi in tema di conti pubblici, altro non è che la prima tappa per arrivare un giorno agli Eurobond, dimenticare gli incubi da spread ed essere finalmente percepiti dai mercati come un’area più stabile economicamente e con una bassa inflazione.Oltre che dall’unione bancaria ( già messa in cantiere), la minore vulnerabilità sarebbe inoltre garantita dalla creazione di un’agenzia di rating euro­pea, ideale contraltare a Moody’s e Standard&Poor’s. Il prezzo più alto da pagare agli Stati Uniti d’Europa sarebbe la perdita di sovranità nazionale. Germania e Francia saranno d’accordo?

Nella Ue il fardello del debito è più leggero che in America

La potenza di un blocco economico si misura dalla capacità di tenere i conti in ordine e dalla forza del suo mercato di capitali. Dal primo punto di vista l’Europa a 27 ha una performance migliore degli Stati Uniti, il cui primato borsistico è difficilmente intaccabile. Una leadership che consente allo «zio Sam» non solo di attirare capitali dall’estero, ma anche di finanziare un debito pubblico di 12.363 miliardi di euro, che vale il 102% del proprio pil. L’Unione europea con «soli» 10mila miliardi ha le finanze pubbliche, tutto sommato, in buono stato giacché lo sbilancio rappresenta poco meno dell’80% del pil. Ancor più virtuose le tigri dell’Est: la Cina ha un debito che rappresenta il 25% del prodotto interno lordo, mentre per la Russia il rapporto scende al 10 per cento. Il vero problema di Mosca, però, è un altro: il forte in­debitamento verso l’estero delle sue imprese che ammonta a 275 miliardi di euro (il 20% del pil). L’oro di New York,invece,è nelle due principali piazze azionarie (il Nyse e il Nasdaq) che valgono oltre 12mila miliardi di euro a fronte degli 8mila circa delle grandi Borse del Vecchio Continente. Ma c’è di più: le aziende quotate a Wall Street valgono oltre il 100% del pil americano a fronte del 66% scarso di quelle dei listini Ue. Per essere veramente un gigante della finanza internazionale, quindi, l’Europa dovrà cercare di dotarsi di campioni in grado di competere con quelli statunitensi. Se l’esperienza e la fortuna di Apple (conquistata a colpi di iPhone e iPad) è difficilmente replicabile così come la sua capitalizzazione da 470 miliardi di euro, circa il 50% in più di tutta Borsa Italiana alla fine di luglio, ci sono altri esempi virtuosi da seguire. Ad esempio, il big del petrolio ExxonMobil vale 325 miliardi di euro. Se i campioni europei come Royal Dutch Shell (190 miliardi), Bp (109 miliardi) ed Eni (65 miliardi) si unissero, varrebbero di più.

Basta doppioni e più sinergie: nasce la nuova superpotenza

L’Unione europea è,sullacarta,una potenza militare di prima grandezza, supportata da un’industria aerospaziale e della difesa che vanta tecnologie e prodotti di eccellenza. L’Europa già esprime un enorme potenziale bellico, quello che manca tuttavia non sono mezzi e uomini, ma la possibilità di sfruttare al meglio gli investimenti e le risorse, e la volontà politica di impiegare le forze armate per tutelare gli interessi comuni. In un’unione federale si potrebbe finalmente smantellare un apparato colossale che impiega troppo personale, ha strutture pletoriche e disperde denaro per ricerche e per realizzare sistemi d’arma ed equipaggiamenti analoghi, ma quasi mai comuni.
Per essere chiari, oggi l’Europa ha tre tipi di aerei da combattimento, quattro modelli di carro armato, una decina di tipi di fregata eccetera. Se la gestione dei fondi e dei programmi di ammodernamento fossero condotti in modo unitario si potrebbe ottenere molto di più a parità di spesa. Sul versante industriale in realtà la razionalizzazione in larga misura c’è già stata: basti pensare al colosso aerospaziale Eads (Francia, Germania, Spagna), a Bae Systems (Gran Bretagna, Stati Uniti, Svezia) a Finmeccanica (presente in Italia, Gran Bretagna, Polonia e Usa) a Space Alliance (Francia e Italia), a Mbda (Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, Spagna). In alcuni settori però, come quello degli armamenti terrestri o della cantieristica militare, c’è ancora troppa frammentazione. Malgrado questo, i prodotti europei sono ottimi e risultano equivalenti o superiori agli omologhi statunitensi: parliamo, a questo proposito, di caccia come il Typhoon, degli elicotteri realizzati da Eurocopter e AgustaWestland, delle artiglierie navali di Oto Melara, di quelle terrestri tedesche, dei fucili d’assalto,dei siluri,di molti sistemi missilistici come l’Aster e così via. A conti fatti una Europa realmente unita avrebbe un potenziale militare superiore a quello della Russia, in termini sia qualitativi sia quantitativi. E se ci fosse un governo federale in grado di far pesare la potenza militare, il Vecchio Continente sarebbe un primo attore sul palcoscenico mondiale.

L’Europa ha cancellato il boia, a Pechino esecuzioni record

«Un continente totalmente libero dalla pena di morte» (a parte la Bielorussia che non è nella Ue). Così un rapporto appena pubblicato dall’organizzazione Nessuno Tocchi Caino definisce l’Europa.Soltanto per questo,i 27 Paesi dell'Unione europea scalano le graduatorie sui diritti umani nel mondo. Ogni Paese dell’Ue si è impegnato ad abolire la pena di morte con la firma del 13˚ protocollo della Convenzione europa dei diritti dell’uomo. L’Ue non compare nelle classifiche sulla pena di morte,aperte da Paesi come la Cina, che nel 2011 ha giustiziato 4.000 persone, l’Iran,676,l’Arabia Saudita,82.Negli Stati Uniti nel 2011 sono state giustiziate 42 persone. La Costituzione russa prevede la pena capitale ma dal 1996 è in atto una moratoria sulle esecuzioni che, tuttavia, alcuni vorrebbero riportare in auge come deterrente contro la criminalità. L’Europa, invece, da oltre sessant’anni sigla e ratifica convenzioni e trattati per garantire il rispetto dei diritti umani. Nel 1949 il Trattato di Londra ha posto come precondizione per sedere nel Consiglio d’Europa - di cui fanno parte i Paesi dell’Eurozona - il rispetto dei diritti umani. Un altro documento centrale è la Convenzione europa dei diritti dell'uomo del 1950, che si ispira alla dichiarazione dell’Onu sui diritti dell’uomo. Se i 27 fossero un’unica entità, i Paesi europei più rispettosi dei diritti dell’uomo trascinerebbero in alto nelle graduatorie l'intera Unione. Nella classifica mondiale del divario tra i generi, ancora una volta sono Paesi europei in testa alla lista, con Finlandia sempre al top.L’Italia si posiziona soltanto 74sima. L’Arabia Saudita, quasi in coda allalista,è al131simo posto. Non c’è nessun Paese europeo nella lista dei dieci peg­giori Paesi per i diritti umani, , tra cui l’anno scorso figuravano,tra gli altri, Birmania, Eritrea e Corea del Nord.

L’Unione europea ha il cuore verde, troppo smog sotto la Muraglia

Peggio del Giappone ma meglio, molto meglio, degli Stati Uniti, per non parlare delle potenze economiche emergenti Cina e India. Questa è la fotografia di Eurolandia dal punto di vista degli indicatori ambientali. Per la qualità dell’aria l’Ue ha compiuto in venti anni passi da gigante con una forte riduzione di emissioni inquinanti: il biossido di zolfo (SO2)è calato dell’80%e gli ossidi di azoto (NOx) di quasi il 50 per cento. Oggi, in media, ogni cittadino europeo emette annualmente 8 chilogrammi di biossido di zolfo e 20 chilo­grammi di ossidi di azoto. Soltanto il Giappone fa meglio, con 5 chilogrammi pro capite di SO2 e 15 di NOx. Gli Usa, invece, vanno molto peggio con, rispettivamente, 33 e 45 chilogrammi pro capite. Molto preoccupante è la situazione nei Paesi emergenti come Cina, India e Brasile dove le emissioni inquinanti sono molto più alte: in Cina c’è una concentrazione media di biossido di zolfo nell’aria ben oltre i 100 microgrammi al metro cubo, mentre in Europa è intorno ai 10 microgrammi. Situazione simile anche per ciò che riguarda la superficie forestale che nell’Unione europea sfiora il 37% dell’intero territorio. Anche in questo caso il Giappone fa meglio visto che la superficie forestale occupa il 66% del territorio, mentre per gli Usa la percentuale scende al 31,5 e per la Cina al 21,5. Diversa la situazione del Brasile, che è sui livelli del Giappone ( 61%), ma in 20 anni ha perso il 10% delle foreste mentre Eurolandia nello stesso periodo ne ha «acquistate» il 15 per cento. Quadro quasi identico anche per l’efficienza energetica: in questo caso l’indicatore è quello dell’«intensità energetica», ovvero il consumo di energia per ogni unità di ricchezza prodotta: in Eurolandia si assiste a una costante diminuzione dell’intensità, attualmente attorno ai 160 chilogrammi equivalenti petrolio per 1.000 euro di pil, il cui livello è secondo soltanto a quello del Giappone (circa 100 chilogrammi), ma decisamente più basso di quello degli Stati Uniti, che supera i 300 chilogrammie per mille euro.

Olimpiadi, il Vecchio continente surclassa yankee e «dragoni»

Qui l’Europa,là l’euro.I Giochi di Londra celebrano lo sport del vecchio continente, novantadue ori sono la vetta di una montagna che Stati Uniti e Cina, nei loro totali, non riescono a raggiungere, soltanto a sfiorare. È una realtà virtuale, di sogno, di utopia, infine un gioco ma è la sostanza, è il risultato della potenza sportiva dell’Europa divisa in nazioni e unita, falsamente, da una moneta che la sta spaccando, lacerando, disunendo. La Gran Bretagna tira il plotone continentale, le Olimpiadi costruite in casa hanno stimolato Inghilterra, Scozia, Nord Irlanda e Galles a costruire uno squadrone che ha fatto il record storico, momenti di gloria, ventinove volte primi sul podio, piazzandosi al terzo posto alle spalle dei due giganti, americani e cinesi, a conferma che, in caso di necessità, il Regno è davvero Unito, soltanto nelle Olimpiadi, ed è passato dai diciannove ori di Pechino ai ventinove di questa edizione. Per la proprietà transitiva le ventisette nazioni europee avrebbero fatto bingo mondiale se si fossero presentate unite, tra le grandi soltanto la Spagna incomincia ad accusare un calo, dalle tredici medaglie d’oro di Barcellona 1992,alle cinque di Pechino, alle tredi Londra,scompare l’Austriarispetto a Pechino, zero assoluto, oro-argento-bronzo, riservando inni e trionfi ai Giochi invernali, tra dubbi e sospetti.Dietro la lavagna Lussemburgo e Malta assenti all’appello sul podio assieme a Belgio, Portogallo, Grecia, Estonia, Cipro, Slovacchia, Bulgaria e Finlandia. Il gruppone vede crescere l’Ungheria,dai tre primi podi di Pechino agli otto, veri, pesanti, brillanti di oggi. Novantadue ori sono un forziere che migliora la prestazione di quattro anni prima,l’Europa di Pechino aveva ottenuto ottantasei vittorie, Londra ha esal­tato i britannici e demolito i fenomeni cinesi, crollati nel medagliere di tredici ori. Si va di numeri che rappresentano la sostanza dello sport, si va di somme e totali che non trovano conferma nella realtà non sportiva di tutti i giorni.

L’Europa olimpica è sana e forte, viva e vincente. Quella del denaro soffre, sbanda, teme e trema sotto il peso delle grandi protagoniste dei Giochi, Usa e Cina, non in campo ma in banca. E qui l’oro ha un sapore diverso.Ma sono sempre giochi.

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