Cuba, ecco il paese dove chi scrive va in carcere

Yoani Sanchez, la blogger anti-castrista, la voce fuori dal coro di Cuba, è stata arrestata giovedì sera a Bayamo, a est del Paese. È il regime che torna ad agire, a colpire i suoi nemici che non vogliono tacere. In Italia è già partito il coro - sacrosanto - da Di Pietro a Renzi, che chiede la liberazione della giornalista. E certo l'Italia non è Cuba, qui la dittatura non c'è. Ma colpisce che, negli stessi giorni, le notizie del carcere per i giornalisti provengano solo da Cuba e dall'Italia: il direttore del Giornale Alessandro Sallusti è stato condannato a 14 mesi di detenzione per un commento che nemmeno ha scritto. In Italia come all'Avana la libertà di stampa è in pericolo.
Il giro di vite cubano è partito e la prova è l'arresto della Sanchez e del marito, il giornalista Reinaldo Escobar già da tempo nel mirino del regime. Come riferisce il sito Cuba Encuentro, sembra che gli attivisti volessero coprire il processo che si celebra a Bayamo al giovane politico spagnolo Angel Carromero del Partito popolare, accusato di omicidio dopo la morte in un incidente stradale dei dissidenti Oswaldo Paya e Harold Cepero. La Sanchez, poco prima del suo arresto ha fatto in tempo a mandare un tweet. «Poliziotti ci fermano a Camaguey per fumigare la macchina», racconta la blogger e tre ore dopo aggiunge «ci fermano un'altra volta per fumigare la macchina. Chiedo al poliziotto se è per il dengue e non mi risponde».
Non è la prima volta che la Yoani viene fermata dalla polizia. Già nel 2009 degli agenti l'avevano costretta a salire su un'auto mentre si stava recando a una manifestazione contro la violenza nel mondo. L'avevano picchiata e umiliata. Lei, ancora una volta, aveva denunciato tutto nel suo blog. «Mi hanno picchiato in testa, pensavo che non ne sarei uscita viva». Le violenze non l'hanno fermata, le hanno dato semmai più forza e più coraggio. Lei, che ha sempre ammesso di non essere una buona cubana, che non le piace il rum, la salsa e non gioca a domino. A 35 anni, la revolución, all'Avana, la fa a modo suo. Dal 2007 ha aperto un blog, Generación Y (Y come Yoani e come le iniziali dei nomi scelti per i figli nati a Cuba negli anni '70) e racconta la vita dei connazionali, tra difficoltà, speranze. A Cuba, invece, il suo blog è oscurato in tutta l'isola. Lei, ha continuato a scrivere. «Continuiamo a non essere liberi di andarcene, mentre i turisti canadesi ed europei vengono qui a bere rum e a fare sesso con le cubane». Non si è mai fatta problemi di autocensura Yoani, ha sempre sputato verità scomode e irriverenti. «La dittatura cubana non è un regime sanguinario. Ma sanguinolento. I funzionari stanno attenti a non mostrare il pugno forte in maniera aperta. Non è il Cile di Pinochet». Qualche mese fa, il sito web ufficiale Cubadebate ha pubblicato un attacco frontale alla dissidente, descrivendola come «mercenaria», «un'impiegata dell'organismo statunitense». Lei e il marito «sono al momento irraggiungibili, i loro cellulari sono in mano alla polizia segreta cubana», ha detto il dissidente Elizardo Sanchez, che ha riferito di aver avuto conferma degli arresti a Bayamo attraverso «familiari della Sanchez». «A Bayamo sono d'altra parte stati arrestati - ha aggiunto - almeno 6 dissidenti locali per impedire loro di avvicinarsi al tribunale».

La solidarietà per la blogger è trasversale: tutti, in queste ore, si auspicano che torni «presto a informare», che i diritti umani siano rispettati, indignati per «l'attacco alla libertà d'informazione». A Cuba. Ma in Italia?

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